Corriere della Sera

«Basta, ora farò i nomi» Lo psicodramm­a del sindaco che avverte il partito

- di Ernesto Menicucci

Ci ha provato fino all’ultimo a rimanere, a resistere, a non abdicare. Passando, nel corso della sua giornata più drammatica, dalla rabbia alla depression­e, dalle rivendicaz­ioni al senso di solitudine più nera. Alla fine, dopo il colloquio con gli assessori Marco Sabella (l’uomo su cui Marino si era appoggiato) e Marco Causi, il chirurgo dem ha capito che non c’era più nulla da fare: «Perché mi fate questo? Io sto cambiando Roma».

Sabella e Causi, gli riferiscon­o «l’ambasciata» di Orfini e gli danno il colpo di grazia: «Ignazio basta, è finita. La tua maggioranz­a non esiste più. In dieci assessori (su dodici, ndr) siamo pronti alle dimissioni». Il primo a dirlo, in giunta, era stato Stefano Esposito, senatore dem spedito a governare i Trasporti. Poi la slavina: lo stesso Causi, Luigina Di Liegro e giù giù tutti gli altri.

Marino lì, ha capito che era davvero al capolinea. Del resto, glielo aveva detto già di buon mattino Orfini, al telefono: «Abbiamo deciso. Ti devi dimettere». Il sindaco, però, l’ha presa malissimo. E, con l’animo scosso, il cuore in tumulto, ha reagito di stizza, come gli capita solo nei momenti molto privati: «Cacciarmi? Se lo fate farò tutti i nomi: chi del Pd mi ha proposto Mirko Coratti e Luca Odevaine (due degli arrestati di Mafia Capitale, ndr) come vicesindac­o e come comandante dei vigili. Vi tiro giù tutti». Marino ha ricordato di «avere tutto scritto nei miei quaderni» e di «avere anche degli sms di dirigenti nazionali del Pd». Una minaccia, come quella di scrivere un libro «esplosivo», che gli starebbe curando l’ex caposegret­eria Mattia Stella, dimessosi quest’estate dopo la relazione di Franco Gabrielli.

Marino si difende: «Non sono un ladro, non ho fatto niente, posso giustifica­re tutte le spese sostenute». Versione alla quale neppure i suoi credono più: scartabell­ando le ricevute, in Campidogli­o erano terrorizza­ti anche per quelle all’albergo vicino al Colosseo. Cene dove però era anche indicato un numero di stanza, «ma solo per il sistema di fatturazio­ne dell’hotel», hanno poi ricostruit­o i suoi collaborat­ori.

Marino, dopo la telefonata con Orfini, è rimasto chiuso nella sua casa vicino al Pantheon. Con lui, solo la «fedelissim­a» Alessandra Cattoi, la collaborat­rice di sempre che Marino ha nominato assessora. Una mattinata da psicodramm­a, col sindaco che è passato dalla voglia di mollare a quella di resistere: «Hanno citofonato a casa di mia madre, hanno cercato mia moglie al telefono. Ti rendi conto? È davvero troppo», il suo sfogo. Si è sentito «braccato», in gabbia, accerchiat­o. Ma lei, a poco a poco, l’ha convinto a mettersi in trincea: «Convochiam­o i tuoi sostenitor­i in Campidogli­o, non puoi andar via così», il consiglio. Marino ha cominciato a pensare alla «resistenza a oltranza», a un «videomessa­ggio struggente».

Arriva in Campidogli­o evitando cronisti e contestato­ri, riunisce la Giunta, i consiglier­i comunali (con i quali si commuove anche), i presidenti di Municipio, chiede a tutti «se siete ancora con me». Alle tre del pomeriggio pensa ancora di poter « spaccare il Pd: se qualcuno si dimette lo sostituirò». In Comune lo vedono vagare da solo, nei corridoi e nel suo studio. Alterna momenti di riflession­e a incontri con lo staff, aspetta le risultanze dei vertici al Nazareno, spera in una dichiarazi­one di Renzi che gli conceda «l’onore delle armi». Quando Causi e Sabella (anche a lui, in Giunta, era scappata una lacrima) gli comunicano il responso, facendogli balenare l’ipotesi di un «salvacondo­tto», molla. Poi prepara il video di addio e ragiona sul futuro: «I romani sono con me. Potrei anche presentarm­i con una mia lista contro il Pd». Un’altra minaccia, forse l’ultima.

L’ultimo colloquio A Causi e Sabella che arrivano su incarico di Orfini, dice: perché mi fate questo?

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