«Missili russi caduti in territorio iraniano» Lo rivela il Pentagono: 4 ordigni sarebbero finiti fuori bersaglio. Mosca nega: colpiti gli obiettivi La Nato avverte Putin: pronti a proteggere la Turchia. E rafforza il dispositivo di difesa sul Baltico
Secondo fonti del Pentagono, quattro missili russi lanciati verso la Siria sono caduti nel territorio dell’Iran, e ieri fino a tarda sera si ignorava se vi fossero vittime o danni materiali. Il Ministero della Difesa di Mosca ha subito smentito la notizia affermando di aver colpito solo i bersagli stabiliti.
È l’ultimo sviluppo, e neppure il più drammatico, di una crisi regionale che ormai sembra minacciare di allargarsi alle grandi potenze nucleari.
L’altro sviluppo giunge da Bruxelles, è indirettamente connesso al primo, e non è meno inquietante.
«La Nato è capace di difendere tutti gli alleati, compresa la Turchia, contro qualsiasi minaccia. È pronta a farlo»: così dice il segretario generale dell’Alleanza, il norvegese Jens Stoltenberg, davanti ai ministri della Difesa di tutti gli Stati-membri riuniti al quartier generale di Bruxelles.
Parole, almeno simbolicamente, dal peso storico. Perché la Turchia è il grande muro orientale dell’Alleanza, il suo più importante componente al di fuori dell’area centro-europea o americana, e quella «qualsiasi minaccia» di cui si parla adesso sono i caccia russi che più volte hanno violato il suo spazio aereo.
O i missili da crociera che — sparati anche senza preavviso dalle navi russe nel Mar Caspio — hanno solcato o sfiorato i cieli turchi prima di colpire in Siria le forze anti- Alla Difesa Le ministre dei Paesi Bassi (Jeanine HennisPlasschaert, a sinistra) e della Germania (Ursula Von der Leyen) durante il vertice Nato di ieri a Bruxelles Assad, quelle sostenute dagli Stati Uniti e da tutto l’Occidente.
Quegli stessi missili che, pare ora, sono caduti anche nelle terre sciite dell’Iran.
Non è dunque il cosiddetto Califfato dell’Isis, il pericolo contro cui Ankara chiede l’aiuto della Nato: ma il Cremlino, che ufficialmente dichiara di colpire proprio l’Isis, e attribuisce a presunti «errori» certe incursioni su tutt’altri bersagli, ma nei fatti sembra avere una strategia molto più ampia, e più ambigua.
Le parole di Jens Stoltenberg sono formalmente dure, e certo non passano inascoltate a Mosca. Ma rischiano di avere, appunto, un significato più che altro simbolico.
Perché mentre la Nato promette aiuto, Ankara le chiede anche di lasciare in terra turca le sue batterie anti- missili «Patriot» che da sole potrebbero respingere altri «errori» dei jet russi.
Ma Germania e Stati Uniti — i due membri più potenti dell’Alleanza Atlantica — annunciano il contrario: entro pochi giorni o poche settimane ritireranno proprio le loro batterie «Patriot», o per decisione tattica già presa in precedenza (la Germania) o per supposte esigenze di manutenzione (gli Usa).
Qualunque sia la verità, alcune fonti Ue delineano già un quadro inquietante: è come se alcune forze politiche a Berlino e Washington, presentendo o temendo un grave incidente militare tra forze turche e russe, spingessero la Nato a tenersi per il momento ai margini del campo, in attesa di altri negoziati diretti fra Mosca, Washington e Ankara. Ma «per il momento», ammesso che questa interpretazione possa avere un senso, non potrà certo durare a lungo.
Intanto il segretario di Stato Gli obiettivi «non Isis» , non legati ai terroristi islamici, colpiti dalle bombe russe nell’intervento in Siria secondo fonti americane
americano Carter, anch’egli rivolgendosi ai vertici Nato, dichiara che verso Mosca «la porta è sempre aperta per una soluzione politica», e che il Cremlino sta compiendo un grave errore strategico, anzi che per questo «avrà delle perdite».
È un messaggio nella bottiglia, per evitare una rottura irreparabile e che probabilmente nessuno vuole, né a Mosca né a Washington: ma preoccupano anche le possibili reazioni di Teheran, e tutto il quadro di un vulcano medio-orientale in cui ormai si sono spalancate molte bocche.