Corriere della Sera

La riforma avanza Il sì del governo al taglio delle Regioni

Scelta dei senatori, l’intesa sulla norma quadro Al voto segreto l’asticella non supera quota 155

- Dino Martirano

A questo punto, con lo sprint impresso alle votazioni dall’aula del Senato, mancano soltanto 4 articoli (sono 41 in tutto) per completare la tappa più dura della riforma del bicamerali­smo paritario, che, se tutto fila liscio, verrebbe pubblicata in Gazzetta ufficiale a ottobre del 2016 dopo la celebrazio­ne del referendum confermati­vo. «Ce l’abbiamo quasi fatta ma bisogna lavorare ancora», si è lasciata sfuggire il ministro Maria Elena Boschi durante una breve pausa dei lavori, quando gli articoli approvati in un solo pomeriggio erano ben sette.

La pace scoppiata nel Pd e il dissolvime­nto del cartello delle opposizion­i hanno dunque impresso velocità alla riforma anche se la maggioranz­a — trionfante a quota 171 sulla nota di variazione del Def — ha arrancato sui voti segreti: oscillando da un minimo di 147 voti a un massimo di 155, sotto la soglia di sopravvive­nza fissata a 161.

La pace raggiunta all’interno del Pd — che due giorni fa ha generato un compromess­o al ribasso sull’elezione del capo dello Stato, segnalato anche da Gaetano Quagliarie­llo (Ncd) — ha prodotto un accordo sulla norma transitori­a (articolo 39) che Federico Fornaro (minoranza Dem) definisce «più che soddisface­nte».

Il ministro Maria Elena Boschi, dunque, ha presentato un emendament­o che rende meno vago il calendario della messa a regime del nuovo Senato. Nel testo entrato in aula si rimandava alla prossima legislatur­a il varo della legge quadro con le regole e i principi per eleggere i nuovi senatori. Con l’emendament­o Boschi, concordato con la minoranza del Pd, i tempi si accorciano: entro tre mesi dall’entrata in vigore della riforma (gennaio 2017?) il Parlamento dovrà varare la legge quadro in cui si stabilisco­no i criteri (preferenze, listini bloccati o a scorriment­o,

numero delle schede) per scegliere i senatori-consiglier­i regionali. Entro i successivi 90 giorni ( aprile 2017?) ogni Regione dovrà confeziona­rsi la sua legge elettorale. E va da sé, con questo calendario, che gli attuali 315 senatori resteranno al loro posto fino a fine legislatur­a (2018) mentre è ancora da capire come si farà, dopo le elezioni politiche della Camera, ad eleggere a rate il nuovo Senato, visto che le Regioni

vanno al voto tra l’autunno 2017 e la primavera del 2020. Ecco allora che Giuseppe Lauricella, deputato del Pd, in qualche modo demolisce la soluzione che verrà votata oggi al Senato: «L’unica strada coerente sarebbe stata quella di prevedere, in sede di prima applicazio­ne, al momento dello scioglimen­to delle Camere, l’azzerament­o di tutti i consigli regionali». In modo che tutte le Regioni concorrano «in contempora­nea» alla elezione del nuovo Senato.

A proposito del numero delle Regioni, il ministro Boschi e il sottosegre­tario Luciano Pizzetti hanno accolto un ordine del giorno di Raffaele Ranucci (Pd) che impegna il governo a rivoluzion­are, in senso restrittiv­o, la geografia dello Stivale. Il governo accettereb­be (con gli ordini del giorno il condiziona­le è d’obbligo) il disegno di articolare la struttura dello Stato in 12 macroregio­ni con la prospettiv­a di accorpare le piccole (Basilicata, Molise, Abruzzo, Marche, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Valle D’Aosta e forse la Liguria), di smembrare il Lazio (rimarrebbe il distretto di Roma Capitale), lasciando intatte solo la Lombardia e la Sicilia. «Questa sarebbe la vera rivoluzion­e per lo Stato», commenta Ranucci. Questa, però, per ora sembra fantascien­za.

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(Agf) Dem in Aula Il sottosegre­tario Luca Lotti con il senatore Nicola Latorre

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