Giudecca, l’altra Venezia La nuova enclave culturale che vive di arte e fotografia
Alla Giudecca per guardare Venezia seguendo sguardi che la stanno cambiando. Passeggiando tra gli atelier degli artisti che hanno scelto questo lembo di città come nuova terra di produzione creativa. Sono altri sguardi su Venezia lo studio di Carol Antich, quello di Debra Werblund, i quadri da indossare tricottati da Laura Mirè o la galleria Giudecca 794 dove l’arte si fa accessorio con gioielli e borse di shantung in edizione numerata. O ancora lo studio di Nicola Golea e Serena Nono. La figlia del compositore e attivista politico che ha influenzato il pensiero musicale del Novecento è una delle anime dell’archivio Luigi Nono che, fino al 31 ottobre, espone i manifesti internazionali di solidarietà politica degli anni 70: al Silos, studio-galleria dove Claudia Zuriato, pittrice, e il marito Gerhard Krammer, compositore, coniugano scultura, fotografia, pittura e installazioni.
La rigenerazione della Giudecca, iniziata quindici anni fa con la ristrutturazione del Molino Stucky, ora Hotel Hilton, sta dando i primi frutti. Residenze, attività produttive, artigianali, spazi verdi ne stanno facendo un’enclave di cultura vivente e da vivere. Nelle case abitate, o da affittare anche per un fine settimana ( airbnb.it, da 59 a 200 euro a notte) a cui si sono aggiunti palazzi nobiliari con nuove funzioni. Casa dei Tre Oci, per esempio. L’edificio neogotico è ora un campus con corsi, workshop e mostre fotografiche.
Dai Tre Oci, ancora un’altra prospettiva, quella delle 25 fotografe che nella mostra Sguardo di Donna (fino all’8 dicembre) raccontano scorci della condizione umana. Venezia entra dalle finestre, con una scenografia narrante che trasporta e mette in relazione gli sguardi. I costumi recuperati dai fondi del Teatro la Fenice da Antonio
Marras, che firma l’allestimento, sono fantasmi che conducono alle sale: rosso veneziano, le pareti e i pavimenti, al primo piano; disegnate da tappezzerie abbozzate e ambientazioni settecentesche, salendo. Fino alle cavalle da teatro che non reggono quinte ma disegnano ombre. Storie evocate che nelle foto alle pareti diventano la «passione e il coraggio» del sottotitolo.
La fisicità fuori norma esibita dei personaggi di Diane Arbus, la violenza familiare colta dalle cronache e raffigurata come scene da film di Donna Ferrato, il fotogiornalismo neorealista dei riti delle invasate o delle tarantolate di Chiara Samugheo sono scatti coraggiosi. Come corrispondere a quello che si vuole diventare dei ritratti di Bettina Rheims: uomini in transizione verso la femminilità, non dolenti nonostante le garze stringano e nascondano gli attributi a cui stanno rinunciando. Passione è il richiamo alla pace di Yoko Ono e i suoi inviti-imperativi a sognare con un gigantesco «Dream» in campo bianco reiterato sui muri pubblicitari del Veneto. Storie inedite sono gli sguardi di Ezra Pound in ciabatte fissato dall’obiettivo di Lisetta Carmi. O i frammenti di corpi ricoperti da calligrafie parsi di Shirin Neshat, esposte alla Biennale nel ‘95, a Venezia oggi che la cronaca ci ha insegnato a decodificarne il segno politico. I Soliloquy di Sam Taylor-Johnson, riflessioni sulle tribolazioni in cui le predelle rinascimentali ispirano la composizione. La militanza fotografica di Letizia Battaglia, le narrazioni sulle identità di Sophie Calle, sono storie che ogni fotografa ha costruito. E che si ritrovano negli armadi da teatro in cui le opere «volano» lasciando le pareti: Yelena Yemchuk dialoga con Zanele Muholi, Martina Bacigalupo con Tacey Rose. «Sono sguardi che chiedono attenzione — dice Francesca Alfano Miglietti, curatrice della mostra —. Più che essere guardati, stanno con il visitatore, insegnandogli a guardare. E continuano a insegnarglielo anche passeggiando sulle fondamenta».
Alla Giudecca, dove il nuovo creativo avanza e il quotidiano del passato resta nei riti degli abitanti, alla salumeria degli Eredi Cirillo Toffoli, dove la signora Maria, pesa formaggi di capra e di pecora di alta qualità a prezzi «antichi».