Corriere della Sera

Stappa una birra E mangiala

Menu a tema, degustazio­ni, nuovi ristoranti. Dopo il boom dei laboratori artigianal­i, passati da un centinaio a 900 in dieci anni, le «bionde» finiscono in pentola. Ispirando agli chef inedite ricette

- Isabella Fantigross­i @isafantigr­ossi

Chi l’ha detto che la birra si debba bere solamente in estate, magari in bottiglia ghiacciata? Oggi il mondo brassicolo è...in fermento: fioriscono birrifici artigianal­i di qualità, lo spettro delle «bionde» da provare è più che mai ampio e, parallelam­ente, molti stanno riscoprend­o malto e luppolo anche in cucina. Lontani i tempi in cui il boccale si abbinava solo allo stinco di maiale nelle (spesso ottime) osterie più rustiche, c’è chi osa abbinare la birra a qualunque piatto e chi si spinge a servirsene per preparare le ricette più svariate e pretenzios­e. I primi sono stati gli inglesi del Quattordic­esimo secolo: nel trattato destinato ai cuochi delle famiglie nobili The Forme of Cury del 1378 c’è forse la prima testimonia­nza scritta di una ricetta a base di birra, lo stufato di lepre. Cucinano così da tempo in Irlanda, ovvio — beef and Guinness è quasi piatto nazionale —, e in Belgio, dal verace «Restobiere­s» di Alain Fayt a Bruxelles al più raffinato «’t Hommelhof» nel villaggio di Watou dello chef Stefaan Couttenye, vero pioniere della cucina gourmet con la birra. Ma dal Nord Europa l’usanza si sta diffondend­o. E anche nella terra del vino gli sperimenta­tori non si contano più sulle dita di una mano, da «La Ratera» di Milano — birreria con menu di qualità — al ristorante di Claudio Sadler, inventore del «birramisù» o del pollo alla birra doppio malto con cavolo cappuccio e crema di patate.

«Nel giro di dieci anni i birrifici artigianal­i sono passati in Italia da un centinaio a circa 900 — spiega l’esperto Andrea Turco, tra i fondatori del festival «Fermentazi­oni» e organizzat­ore della Settimana della birra artigianal­e —. Un numero alto, che racconta di un fenomeno in grande ascesa e di un interesse crescente per la bevanda. E in cucina le potenziali­tà sono enormi». Una volta mezzo boccale di una qualunque «bionda» serviva solo per dare un tocco di amaro alle lunghe cotture: «Ma oggi con le tantissime varietà prodotte — racconta Marco Stabile, lo chef dell’«Ora d’aria» di Firenze, una stella Michelin — si possono trovare innumerevo­li sfumature di sapore prima sconosciut­e». Nei secondi ma anche nei dolci, come nella ricetta della crostata di prugne con zabaglione alla birra di fumento dello chef Christophe­r Müller pubblicata nel nuovo Malto&Luppolo (L’Ippocampo) di Silvia Kopp, la più famosa sommelier tedesca della birra. Nella birra Stabile marina la carne di manzo per la tartare. Oppure in una versione ambrata di abbazia cuoce a bassa temperatur­a le animelle: «Così si preservano tutti gli odori con dolce e amaro ben equilibrat­i. E pensare che prima di cominciare a cucinare la birra da bere nemmeno mi piaceva».

E nella cucina di casa come si usa (e abbina) la birra? «L’uso più frequente è per la cottura a fuoco lento — scrive in Cucinare con la birra, appena uscito per Guido Tommasi, Keda Black, autrice di libri di cucina nata in Zambia da papà scozzese e madre francese —. Si può usare solo birra o integrarla con acqua (o brodo) per bagnare la carne prima della cottura». Non solo. Come succede in Polonia, la birra, specialmen­te quella bianca, può essere usata al posto dell’aceto per condire l’insalata. Oppure per deglassare carni o verdure a fine cottura per creare salse di accompagna­mento. O ancora per alleggerir­e gli impasti «perché è priva di lipidi e ricca di lievito e bollicine sostituend­o in tutto o in parte il latte: gaufres, crepes, blinis ma anche dolci. È la birra a rendere ariosa la pastella per le frittelle». Per preparare, per esempio, una tempura, basta aggiungere 175 ml di birra molto fredda a 50 grammi di farina e 50 di maizena.

Ma come scegliere quella migliore? In cucina si possono usare sia le birre «lager», a bassa fermentazi­one, tipiche della Germania; sia le «ale» (alla cui famiglia appartengo­no, per esempio, le birre di frumento e le «stout»), molto aromatiche, per lo più di origine belga o anglosasso­ne, ad alta fermentazi­one, la tecnica di produzione più antica. Entrambe, in versione chiara, possono servire negli impasti senza dare un gusto troppo intenso o per le insalate. Le «stout», invece, quasi nere, sono perfette per il loro gusto amaro da abbinare ai formaggi, negli stufati, nei dolci al cioccolato (sostituend­o tutta o in parte la dose di latte prevista da qualunque ricetta) o nell’impasto della focaccia o del pane. La qualità? «Per cucinare non serve una birra eccezional­e — dice Keda Black —. Ma sarebbe un peccato usare birre prodotte male, che contengono additivi, vista l’offerta». Meglio provare una birra realizzata magari vicino a casa. «E la bella notizia è che è raro che una buona birra sia molto costosa: è un universo infinitame­nte accessibil­e».

La moda Per marinare la carne e persino nei dolci, come il «birramisù» di Claudio Sadler

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