Stappa una birra E mangiala
Menu a tema, degustazioni, nuovi ristoranti. Dopo il boom dei laboratori artigianali, passati da un centinaio a 900 in dieci anni, le «bionde» finiscono in pentola. Ispirando agli chef inedite ricette
Chi l’ha detto che la birra si debba bere solamente in estate, magari in bottiglia ghiacciata? Oggi il mondo brassicolo è...in fermento: fioriscono birrifici artigianali di qualità, lo spettro delle «bionde» da provare è più che mai ampio e, parallelamente, molti stanno riscoprendo malto e luppolo anche in cucina. Lontani i tempi in cui il boccale si abbinava solo allo stinco di maiale nelle (spesso ottime) osterie più rustiche, c’è chi osa abbinare la birra a qualunque piatto e chi si spinge a servirsene per preparare le ricette più svariate e pretenziose. I primi sono stati gli inglesi del Quattordicesimo secolo: nel trattato destinato ai cuochi delle famiglie nobili The Forme of Cury del 1378 c’è forse la prima testimonianza scritta di una ricetta a base di birra, lo stufato di lepre. Cucinano così da tempo in Irlanda, ovvio — beef and Guinness è quasi piatto nazionale —, e in Belgio, dal verace «Restobieres» di Alain Fayt a Bruxelles al più raffinato «’t Hommelhof» nel villaggio di Watou dello chef Stefaan Couttenye, vero pioniere della cucina gourmet con la birra. Ma dal Nord Europa l’usanza si sta diffondendo. E anche nella terra del vino gli sperimentatori non si contano più sulle dita di una mano, da «La Ratera» di Milano — birreria con menu di qualità — al ristorante di Claudio Sadler, inventore del «birramisù» o del pollo alla birra doppio malto con cavolo cappuccio e crema di patate.
«Nel giro di dieci anni i birrifici artigianali sono passati in Italia da un centinaio a circa 900 — spiega l’esperto Andrea Turco, tra i fondatori del festival «Fermentazioni» e organizzatore della Settimana della birra artigianale —. Un numero alto, che racconta di un fenomeno in grande ascesa e di un interesse crescente per la bevanda. E in cucina le potenzialità sono enormi». Una volta mezzo boccale di una qualunque «bionda» serviva solo per dare un tocco di amaro alle lunghe cotture: «Ma oggi con le tantissime varietà prodotte — racconta Marco Stabile, lo chef dell’«Ora d’aria» di Firenze, una stella Michelin — si possono trovare innumerevoli sfumature di sapore prima sconosciute». Nei secondi ma anche nei dolci, come nella ricetta della crostata di prugne con zabaglione alla birra di fumento dello chef Christopher Müller pubblicata nel nuovo Malto&Luppolo (L’Ippocampo) di Silvia Kopp, la più famosa sommelier tedesca della birra. Nella birra Stabile marina la carne di manzo per la tartare. Oppure in una versione ambrata di abbazia cuoce a bassa temperatura le animelle: «Così si preservano tutti gli odori con dolce e amaro ben equilibrati. E pensare che prima di cominciare a cucinare la birra da bere nemmeno mi piaceva».
E nella cucina di casa come si usa (e abbina) la birra? «L’uso più frequente è per la cottura a fuoco lento — scrive in Cucinare con la birra, appena uscito per Guido Tommasi, Keda Black, autrice di libri di cucina nata in Zambia da papà scozzese e madre francese —. Si può usare solo birra o integrarla con acqua (o brodo) per bagnare la carne prima della cottura». Non solo. Come succede in Polonia, la birra, specialmente quella bianca, può essere usata al posto dell’aceto per condire l’insalata. Oppure per deglassare carni o verdure a fine cottura per creare salse di accompagnamento. O ancora per alleggerire gli impasti «perché è priva di lipidi e ricca di lievito e bollicine sostituendo in tutto o in parte il latte: gaufres, crepes, blinis ma anche dolci. È la birra a rendere ariosa la pastella per le frittelle». Per preparare, per esempio, una tempura, basta aggiungere 175 ml di birra molto fredda a 50 grammi di farina e 50 di maizena.
Ma come scegliere quella migliore? In cucina si possono usare sia le birre «lager», a bassa fermentazione, tipiche della Germania; sia le «ale» (alla cui famiglia appartengono, per esempio, le birre di frumento e le «stout»), molto aromatiche, per lo più di origine belga o anglosassone, ad alta fermentazione, la tecnica di produzione più antica. Entrambe, in versione chiara, possono servire negli impasti senza dare un gusto troppo intenso o per le insalate. Le «stout», invece, quasi nere, sono perfette per il loro gusto amaro da abbinare ai formaggi, negli stufati, nei dolci al cioccolato (sostituendo tutta o in parte la dose di latte prevista da qualunque ricetta) o nell’impasto della focaccia o del pane. La qualità? «Per cucinare non serve una birra eccezionale — dice Keda Black —. Ma sarebbe un peccato usare birre prodotte male, che contengono additivi, vista l’offerta». Meglio provare una birra realizzata magari vicino a casa. «E la bella notizia è che è raro che una buona birra sia molto costosa: è un universo infinitamente accessibile».
La moda Per marinare la carne e persino nei dolci, come il «birramisù» di Claudio Sadler