Il messaggio è politico: un’altra Russia è possibile
Alla fine di un dibattito a Milano sul suo libro Tempo di seconda mano, Svetlana Aleksievic aveva un gran mal di testa. Un’addetta stampa tira fuori dalla borsa una bustina di Oki, ma la scrittrice la guarda con sospetto: «No, no, che cos’è questa roba, meglio di no...». E si tiene il mal di testa. La classica reazione russa, o meglio (post)sovietica, di fronte alle diavolerie occidentali. Perché la Aleksievic è metà bielorussa, metà ucraina e scrive in russo: ma è più di tutto questo, è la coscienza intellettuale dell’ex Urss. Ed è a quello spazio politico che bisogna guardare per capire la valenza di questo premio Nobel.
Lei stessa ieri ha messo in chiaro ancora una volta la sua posizione, dopo aver rivelato che la notizia dell’assegnazione l’aveva colta mentre «stava stirando a casa»: «Amo il buon mondo russo — ha detto —, amo il mondo umanitario russo, non amo il mondo russo di Stalin, Beria e Shoigu»: un riferimento alla dittatura, al Kgb e al militarismo (l’ultimo personaggio è il ministro della Difesa di Vladimir Putin). E non si tratta di accuse generiche: subito dopo ha bollato come «un’occupazione, un’invasione straniera» l’intervento russo in Ucraina.
Ma è tutta l’opera della Aleksievic ad essere eminentemente politica: «Una mappatura dell’anima» delle genti sovietiche e postsovietiche, l’ha definita l’Accademia del Nobel. Ma con una portata critica verso l’attualità: alla fine del suo libro più recente individuava la speranza futura nei nastri bianchi comparsi sul petto dei manifestanti che erano scesi in piazza a Mosca nel 2012 per reclamare più democrazia.
«Sono emozioni complicate», è stata la sua reazione al premio. «Evoca immediatamente grandi nomi come Bunin o Pasternak. È una sensazione fantastica, ma che allo stesso tempo disturba». Lei voleva certamente schermirsi, ma il segnale arrivato da Stoccolma va proprio in quella direzione, quella dell’autore del
Dottor Živago (e poi di Solženitsyn): scrittori che hanno testimoniato con la vita e con l’opera la resistenza al totalitarismo.
E forse non è neppure una coincidenza che il giorno prima dell’annuncio cadesse il nono anniversario dell’assassinio di Anna Politkovskaja: come la giornalista moscovita, anche la Aleksievic è una delle poche voci rimaste a bucare la cappa del conformismo, nonostante il prezzo personale (tanto da confidare di sentirsi più al sicuro a risiedere in Bielorussia, pur oppressa dal regime di Lukashenko).
È questo il messaggio lanciato da Stoccolma: Putin, Lukashenko, l’autoritarismo, non sono l’unico orizzonte possibile per i popoli usciti dall’Unione Sovietica. Un’altra Russia è (ancora) possibile.