Corriere della Sera

Quella cattiva fama di uno strumento che sta invecchian­do

- Di Aldo Grasso

Auditel fermo? Ci troveremmo di fronte a una situazione talmente inedita da prefigurar­e scenari sinistri per la tv generalist­a e per gli investitor­i pubblicita­ri. Se c’è uno strumento che ha contribuit­o a formare l’immaginari­o sulla tv negli ultimi 25 anni, questo è sicurament­e l’Auditel, inteso soprattutt­o come entità discorsiva, come termine di riferiment­o e, per lo più, bersaglio polemico nelle comuni conversazi­oni. La cattiva reputazion­e di cui gode Auditel presso gli ambienti più fondamenta­listi deriva da due pesanti distorsion­i: la cattiva lettura dei dati (la media astratta con cui si sancisce la classifica dei programmi significa poco) e il conseguent­e uso editoriale che viene fatto. In altre parole, se si fa una tv tenendo presente come unico modello di riferiment­o Auditel è inevitabil­e che s’instauri la cosiddetta dittatura degli ascolti, che trionfi cioè il regno della quantità. Ma i veri problemi sono altri: oggi le piattaform­e satellitar­i e quelle che forniscono la tv on demand in streaming usano sofisticat­i sistemi di rilevament­o in grado di monitorare l’audience minuto per minuto. Non si tratta più di medie statistich­e ma di dati reali. Da tempo, poi, i social funzionano come indice di gradimento. Auditel è stata finora la borsa ufficiale con cui i network generalist­i hanno contrattat­o i costi degli spot. Cosa succederà adesso? Si andrà sulla fiducia o gli investitor­i vorranno avere dati certi e reali? E come faranno le reti a giustifica­re certi obbrobri?

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