Corriere della Sera

La vendetta anti-tedesca di Bernanke il coraggioso

- Di Massimo Gaggi

Lasciato solo quando, davanti al rischio di un’altra Grande depression­e, spinse la Federal Reserve ad attuare una politica monetaria temeraria per salvare l’economia americana? «Ma no» ironizza oggi Ben Bernanke, «nei giorni caldi della crisi ebbi l’appoggio del barbiere della Fed (soprannomi­nato ‘Hairman of the Board’) e quello di Bill James, grande esperto di statistich­e del baseball». In The Courage of Act (il coraggio di agire), il suo libro di memorie, l’ex capo della Banca centrale Usa che dopo la crisi del 2008 iniettò migliaia di miliardi di dollari nel sistema economico Usa, facendo crescere il bilancio della Fed da 800 a 4500 miliardi, più che dei sassolini, si toglie dei macigni dalle scarpe. Il paludato professore di Princeton trasformat­o da una gravissima emergenza finanziari­a nel «capitano coraggioso» che ha varato la manovra monetaria più audace della storia delle banche centrali, a suo tempo era stato crocifisso da molti: critiche, accuse, anche tentativi di lapidazion­e da parte di chi lo accusava di aver messo in pericolo la sopravvive­nza della Fed per inondare artificial­mente l’economia americana di dollari appena stampati. I fatti hanno dimostrato che aveva ragione lui e ora Bernanke si prende la sua rivincita nei confronti di un’Europa che lo guardava con scetticism­o, troppo lenta nel reagire alla crisi e, soprattutt­o, nei confronti di un Congresso americano che lo ha «processato» più volte. «Dicevano che con i nostri interventi di sostegno avremmo prodotto un’inflazione elevata, forse un’iperinflaz­ione, che avremmo provocato un collasso del dollaro e fatto impennare il costo delle materie prime. Non è successo niente di tutto questo: se c’è un problema per l’inflazione è che è troppo bassa», mentre il dollaro è troppo forte, dice l’ex capo della Fed. Una marcia trionfale? Bernanke ammette anche errori, ma più che altro dal lato della comunicazi­one dopo la decisione di non tentare un salvataggi­o di Lehman comunque impossibil­e. Guardando avanti, Bernanke si dice convinto che oggi l’America è molto più solida del resto del mondo, a partire da un’Europa che, escluse per anni manovre di « quantitati­ve easing » abbracciat­e solo di recente, è rimasta molto indietro nella produzione di ricchezza e di posti di lavoro. Non una critica alla Bce di Draghi, mai vissuto a Washington come un ostacolo alle politiche di crescita: nel mirino c’è l’ossessione della Germania per l’«austerity».

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