L’idea di primarie di coalizione per «ratificare» le scelte pd
Il tentativo del premier di «governare» la selezione. Ma Sel già punta i piedi
«Governare le primarie». Trovare la formula magica che lasci agli elettori la scelta degli aspiranti sindaci, senza rischiare che i gazebo diventino una conta sanguinosa. È questo il dilemma del Pd dopo che Renzi, spiazzando mezzo partito a cominciare da Matteo Orfini, ha confermato la direzione di marcia e innescato scintille tra i «dem» su un tema che è da sempre croce e delizia per il centrosinistra.
Il premier non vuole passare alla storia del Pd come il leader che ha rottamato le primarie, ma non vuole nemmeno che la consultazione popolare faccia esplodere nuove faide tra correnti, spianando un’autostrada al M5S. Il pericolo è dietro l’angolo, tanto che molti renziani sono contrari a indire le primarie durante il Giubileo. E così al Nazareno si studiano albi e regole e si fa largo l’idea di primarie di coalizione, o di ratifica. Per la successione di Marino e Pisapia i democratici cercano personalità di primo piano, sulle quali Renzi possa fare un investimento forte. «Nessun papa straniero, nessun nome calato dall’alto — assicura Lorenzo Guerini —. Ma non faremo scelte al ribasso e il confronto sarà tra proposte di altissimo profilo». Gli identikit per il Campidoglio sono due, tecnico (Gabrielli, Cantone o Sabella) o politico. In questo secondo schema i nomi sono Orfini, Gentiloni, Madia e Giachetti e il fatto che tutti e quattro abbiano detto «no grazie» non sembra preoccupare troppo Palazzo Chigi.
Marianna Madia avrebbe declinato per «senso di responsabilità» rispetto alla riforma della Pa, confidando di non voler fare «Brunetta 2». Ma al Pd sono convinti che, quando Matteo avrà trovato la persona giusta, riuscirà a convincerla. «Se c’è bisogno, Paolo c’è...» suggerisce un renziano, che finge di non sapere con quanta determinazione il ministro degli Esteri stia schivando gli inviti a candidarsi. Se mai Renzi riuscisse a convincere l’inquilino della Farnesina, le primarie diverrebbero un passaggio confermativo, utile a definire i confini del centrosinistra in vista di una sfida di inevitabile valore politico. Non a caso Roberto Speranza insiste nel dire che le primarie sono «indispensabili come antidoto al partito della nazione» e che servono a «sminare il campo», scongiurando che la sinistra usi le amministrative come prova generale delle politiche.
L’alleanza però non decolla. «Il problema è cosa vuole Sel» è il dilemma dei democratici, che a giorni convocheranno un tavolo per aprire la trattativa. Vendola e compagni sono pronti a governare nelle città assieme al Pd, o pensano davvero di rompere? A Milano la suggestione più forte resta Giuseppe Sala, che potrebbe vedersela alle primarie con la vicesindaco di Pisapia, Francesca Balzani. Ma Sel si è schierata con Pierfrancesco Majorino e non vuole saperne del commissario di Expo. «Se c’è Sala, per noi diventa complicato — avverte Nicola Fratoianni — Tra l’altro Milano è un’eccezione, la norma ci colloca in un quadro di autonomia».
Ieri nella sede di Sel c’è stata un’assemblea con Fassina e Civati per unire le forze. «A Bologna la sinistra può fare un risultato a due cifre — spera Pippo Civati —.E a Roma la nostra area e quella che sostiene Marino si stanno parlando». E se il sindaco dimissionario decidesse di candidarsi con una sua lista?
Alfano ha stoppato il rinvio delle urne, eppure la tentazione aleggia ancora. E intanto al Pd si medita se preparare la sfida amministrativa con un «election day» ai gazebo il 7 febbraio, data in cui il Pd di Milano ha fissato le primarie tra Fiano e Majorino. «La discussione su regole e date si aprirà dopo l’8 dicembre», prende tempo Orfini. Ma fermare il treno sarà difficile. Il Psi lavora a una lista «laico civico socialista» e Riccardo Nencini fissa i paletti: «Per evitare brogli servono nuove regole».