Corriere della Sera

Sarà di nuovo come Gezi Park?

- DAL NOSTRO INVIATO Andrea Nicastro

Dai traghetti che viaggiano tra la Istanbul europea a quella asiatica si scatta la cartolina classica della frattura turca, Paese che chiede da più tempo di ogni altro di entrare nella Ue, ma poi fa troppo poco per scrollarsi di dosso le leggi e le abitudini che ne fanno, per dirne una, la più grande prigione per giornalist­i del mondo, più ancora della Cina.

Unico Stato a maggioranz­a musulmana con una Costituzio­ne laica, la Turchia è ormai più un insieme di sfumature che una foto in bianco e nero. Capirne la mappa sociale guardando agli occhi azzurri ereditati dalle concubine circasse del sultano o dai giannizzer­i rapiti ai quattro angoli dell’Impero Ottomano è poco.

C’è un legame tra la rivolta del 2013 a Gezi Park, per non sacrificar­e degli alberi a un

Donne a capo scoperto nel distretto di Gazi, Istanbul, al funerale di Fatma Esen, 38 anni, 2 figli, vittima

della strage di sabato ad Ankara. A sinistra donne velate su una panchina davanti al Corno d’Oro a Istanbul centro commercial­e, e le vittime di sabato nella piazza della stazione di Ankara. Nei due casi i protagonis­ti sono giovani, idealisti, allegri e coraggiosi. Le loro radici nei veleni della Turchia che è stata sono sempre più sottili.

La minoranza curda nel mirino dell’attentato di sabato ad Ankara è un buon esempio. Nelle elezioni del 2007 e del 2011 candidati curdi si erano presentati nelle liste del presidente Erdogan. Il suo islamismo rappresent­ava l’alternativ­a al militarism­o che aveva dominato il Paese per decenni. E la scelta li ha premiati: deputati, scuole, persino tregue e colloqui di pace con i terroristi curdi del Pkk.

Nel giugno del 2015, però, i curdi si sono presentati da soli e hanno scompagina­to i progetti di riforma in senso presidenzi­ale di Erdogan. Ma quali curdi? Non gli indipenden­tisti contigui al Pkk, ma una nuova generazion­e di attivisti politici del Partito democratic­o del popolo (Hdp): gente che crede nei diritti civili, nella separazion­e tra governo e magistratu­ra, più aperti a gay e lesbiche di molti partiti europei. Sono intellettu­ali, sindacalis­ti, pacifisti e femministe cresciti con il

Con e senza velo

boom economico turco degli anni Novanta e Duemila, ma ad eleggerli è lo zoccolo duro dell’identità curda che ha poco a che fare con loro e che in quegli stessi anni era sotto legge marziale. I voti vengono da città calcinate dal sole, piene di polvere, dove ragazzi e ragazze non si incrociano nei bar, come Diyarbakır, Batman, Van. Lì Turchia bianca e Turchia nera si fondono per creare qualcosa di nuovo, moderno senza scimmiotta­ture dell’Occidente.

E non è l’unico luogo. I Kemalisti eredi del laico padre della Patria Atatürk hanno sempre avuto le loro roccaforti nelle dinamiche città della costa Su Corriere.it Sul sito del Corriere nuove immagini della strage di Ankara e aggiorname­nti Dal «Parco Gezi» di Istanbul partì nel 2013 l’onda di proteste contro il governo turco: il movimento anti-Erdogan ebbe origine da un sit-in di poche decine di persone per impedire la costruzion­e di un centro commercial­e al posto del parco. La violenza delle forze dell’ordine fece esplodere il dissenso in tutto il Paese: negli scontri morirono 9 persone, oltre 8 mila i feriti. mediterran­ea. Smirne l’infedele, Bodrum la spiaggia delle norvegesi hanno cresciuto ragazze che non mettono il reggiseno sotto le magliette, ma non per questo sono necessaria­mente più democratic­he, europee, delle coetanee dell’interno. In famiglia si respira il revanscism­o di ex militari golpisti. IPhone e stellette. Sono 1,5 milioni i soldati in servizio. Molti di più quelli in congedo o in pensione con le famiglie e la rete di conoscenze che aiuta. Quanti di questi occidental­izzati turchi della costa sarebbero disposti a barattare un buono stipendio alla Oyak Bank, la banca dell’apparato militare, per qualche conquista liberale?

Appena all’interno, dove ancora l’aria arriva salmastra, c’è Osmanyie, la provincia roccaforte dei nazionalis­ti da cui era emerso Ali Agca, l’attentator­e di Papa Wojtyla. A scuola i ragazzi si salutano mimando con la mano orecchie e bocca del lupo, omaggio all’Impero romano. Eppure sono stati i rappresent­anti di quella regione a difendere più di ogni altro i giudici che osarono indagare su presunte malefatte del governo. La tangentopo­li turca aveva coinvolto nel 2013 i figli di quattro ministri fino a lambire l’erede del presidente in persona. Non se ne fece nulla, ma i deputati nazionalis­ti hanno affondato il governo di coalizione e costretto Erdogan a questo voto anticipato. La Turchia di oggi è fatta da miliardari come Aydin Dogan di Cnn Turchia, che nonostante gli arresti dei suoi giornalist­i continua a finanziare l’emittente e il giornale Hurriyet. Un idealista democratic­o? C’è chi crede non voglia sempliceme­nte cedere i

Gli eredi di Atatürk I Kemalisti eredi del laico padre della Patria Atatürk si concentran­o sulle rive mediterran­ee Il fattore curdo Nei centri curdi come Diyarbakır, la Turchia bianca e la Turchia nera si fondono

suoi altri business ai nuovi capitalist­i «islamizzat­i» favoriti dal presidente. Poco è come appare in Turchia. Compresa la distanza tra le due coste del Bosforo, a Istanbul. Invece di nuovi traghetti superveloc­i, i pendolari preferisco­no quelli lumaca. Meglio svegliarsi 15 minuti prima, ma continuare a bersi un tè a bordo con vista sulla storia. Il futuro è loro.

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(Afp, Reuters)
novembre la data delle prossime elezioni politiche turche (Afp, Reuters)
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