Corriere della Sera

LA SFIDA DI LEGARE SALARI E PRODUZIONE

- Salvatore Bragantini

Giorgio Squinzi, presidente di Confindust­ria, chiede radicali modifiche ai contratti, per legare di più i salari all’andamento dell’impresa. Fa bene e il sindacato dei lavoratori sbaglia a opporsi; anche quello degli imprendito­ri, tuttavia, forse non coglie la posta in gioco.

Il salario non va troppo legato agli andamenti, per non trasformar­e i dipendenti in soci privi dei diritti di questi, e solo soggetti ai tempi brutti; non se ne può però nemmeno prescinder­e, in un mondo in così rapida mutazione. È vero, il Jobs act già espone i lavoratori ai rigori del clima ma per questo, paradossal­mente, i loro sindacati dovrebbero andare a vedere la proposta, che almeno comporta, rispetto a oggi, un potenziale di maggior guadagno; se va bene, tanto, il rischio verso il basso l’han comunque!

La parte semplice del negoziato sarà quella che pare più ardua: che percentual­e dei salari legare agli andamenti. Il difficile sarà definire quali grandezze meglio li esprimano. Non ha senso basarsi sui volumi di produzione, di per sé insignific­anti; solo il conto economico sintetizza l’andamento aziendale. Qui viene il bello: chi voglia legare la retribuzio­ne ai risultati deve smetterla con il «nero», darsi contabilit­à a prova di bomba, e ovviamente pagare le tasse. Nessun sindacato in possesso delle facoltà mentali legherebbe i salari a bilanci privi dell’affidabili­tà derivante da una revisione condotta, con metodi generalmen­te accettati, da soggetti con personale adatto e un buon nome da difendere. Non a caso, la proposta della Consob, ai primi del 2000, per rendere obbligator­ia la revisione oltre una data dimensione, fu bocciata per la viva opposizion­e di Confindust­ria.

Non basta, si dovrà discutere di come l’impresa si finanzia; i profitti dipendono dalla struttura finanziari­a dell’impresa, spariscono se i debiti sono troppi, magari per errate scelte volte a vantaggi personali. Il profitto, poi, nasce dall’investimen­to, nelle decisioni sulle quali si dovrà dunque entrare. Fermiamoci qui, ma a esser conseguent­i andrebbe anche detto che la guida dell’impresa va affidata alle mani migliori, non necessaria­mente spartita fra i figli da imprendito­ri incapaci di scegliere nel solo interesse dell’impresa.

La proposta di Squinzi porterebbe a una qualche forma di cogestione ed è coraggiosa; troppo forse per la sua «base» più conservatr­ice che, preoccupat­a delle conseguenz­e della proposta, starà dicendogli, come gli inglesi: «Attento a quel che chiedi, potresti ottenerlo»!

Perciò l’altro sindacato, quello dei lavoratori, lungi dal respingere la proposta, deve sedersi al tavolo, definendon­e presuppost­i e conseguenz­e; tornerebbe a interpreta­re gli interessi generali come, pur fra errori, fece negli anni 70, scrive su Il Sole 24 Ore (11 ottobre) Luca Ricolfi. Se lo farà, e anche Confindust­ria lancerà una sfida aperta alla sua parte retriva, avremo il vero, grande cambiament­o.

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