Versi per Maria e un poliziotto che non spara, l’elegia di Cavalli
Immagini, emozioni, parole percepite e dettate quali tracce di un profondo legame tra il mito e l’esistenza quotidiana. Emergono in questo modo, epicamente trasfigurate, consunte e reinventate, le figure di Orfeo, Euridice, Maria e l’annunciazione, le parabole di Cristo, l’ultima cena e l’Apocalisse. Il tutto in un turbinoso assemblaggio di termini che tende allo straniamento. Un vortice ove il poeta scrive recitando ad alta voce, diventa profeta del verbo, sconfina in territori di rappresentazione che sanno di rivelazione.
Con la ricerca nell’abisso delle passioni umane, nell’intimità della lacerazione che diviene canto e ritmo, Ennio Cavalli intraprende un singolare, fascinoso viaggio di scrittura con la silloge La più bella poesia del libro e altre anomalie (Aragno editore). Divisa in sei sezioni, l’opera trova principio nella composizione melancinante tateatrale, che dà il titolo alla raccolta. Qui l’autore, nato nel 1947 a Forlì, inserisce anche le note di regia di una performance ambientata davanti a un palazzo con tante finestre chiuse. Poi, stanza dopo stanza, le finestre si aprono e i due personaggi, Attrice e Poeta, iniziano un serrato contrasto.
Il miracolo sta appunto in un continuo cambio d’aria in cerca della felicità di un mutamento esistenziale. È proprio nella difesa della sacralità della vita che Cavalli indaga la dimensione del presente. Come nel testo Lettera a un poliziotto, in cui l’appello etico e rivoluzionario a non sparare, a spogliarsi della divisa, a tornare nudo alla fine del servizio, soprattutto a non uccidere, così si conclude: «Chi spera non spara./ Chi spara, punti a un cambio di filiera,/ di carriera. Prima di sera».
Inzuppati di sarcasmo e cantabilità, sono i Dialoghi col pappagallo: parlando con il proprio alter ego, trovano posto attacchi a corrotti e corruttori, ai casi insabbiati, al mobbing, e una riflessione sull’eternità promessa, ma che non può appartenere alla natura degli uomini.
Tanti sogni si susseguono, permettendo all’autore di rivisitare gli antichi miti, quando Greci e Latini riuscirono ad invadere di vita pure il luogo deputato per la morte con traghettatori e una monetina per giungere all’Ade. Assistiamo così alla riscrittura della passione che legò Orfeo ad Euridice, ricreati tra selfie e mondo web. In tale sogno trova personificazione l’Assenza, che agisce tra le ombre quando l’amata scompare.
In questo climax di visioni ecco l’annunciazione a Maria di Nazareth «Figlia di un Soffio,/ calco, coro, caglio/ cosca di unzioni./ Terra, fonte, giglio/ scambio di semi». Mentre alla tradizione della nascita di Gesù si contrappone un laico presepe di una qualunque Maria, una giovane persa per strada, senza ombra di Messia, né buoi o asinelli.