Sì al nuovo Senato con 179 favorevoli Proteste in Aula
Nel Pd solo 4 in dissenso, compatti centristi e verdiniani. Renzi: grazie a chi sogna un’Italia più forte
Con 179 sì contro appena 17 no (Sel e Conservatori riformisti) e 7 astenuti, la riforma che disegna il nuovo Senato è passata a Palazzo Madama. Due interi gruppi parlamentari, Forza Italia e M5S non hanno partecipato al voto.
In 14 mesi la maggioranza, da tempo orfana dell’appoggio di Forza Italia sulle riforme, ha perso solo 4 voti. L’8 agosto del 2014, in prima lettura al Senato, il ddl costituzionale Renzi-Boschi (che nel 2018 potrebbe cancellare il bicameralismo paritario) passava con 183 voti mentre ieri, in seconda lettura, i voti favorevoli ottenuti a Palazzo Madama sono stati 179 (ultimo voto, inizialmente non conteggiato, quello della senatrice Idem), contro appena 17 no (Sel e Conservatori riformisti), 7 astenuti e 120 non partecipanti allo scrutinio (FI, Lega, M5S). Così Renzi ha voluto ringraziare «chi continua ad inseguire il sogno di un’Italia più semplice e più forte. Le riforme servono a questo».
Monolitico il Pd (contrari Tocci e Mineo, astenuti Casson e Tronti, Amati assente). Fedele Area popolare: «É un giorno bello per l’Italia», ha detto Angelino Alfano. Compatto il gruppo delle Autonomie-Psi che ha affidato al senatore a vita Giorgio Napolitano la dichiarazione di voto. A favore del disegno di legge costituzionale sono arrivati anche i 12 voti dei verdiniani ex berlusconiani (compresi D’Anna e Barani rientrati in Aula dopo i gesti sessisti indirizzati alle colleghe grilline), quelli della coppia Bondi-Repetti, già devota al Cavaliere e ora filorenziana, quelli di due senatori di FI: Riccardo Villari e il leader degli albergatori Bernabò Bocca (applauditi dai banchi del Pd) mentre Franco Carraro, pur rimanendo al suo posto, non ha votato. «La riforma — ha osservato Giacomo Caliendo (FI) — ha raccolto 49 voti di senatori eletti nel Pdl». Nel Pd, tuttavia, c’è soddisfazione: pur sottraendo da quota 179 le «stampelle» (ex M5S, verdiniani), la coalizione è un filo sopra la maggioranza assoluta di 161 voti.
La giornata è iniziata con l’arrivo in Senato di Berlusconi che ha riunito i suoi parlamentari. «Per l’Italia siamo in una grave emergenza democratica... oggi si compie il primo passo di un passaggio pericoloso», ha detto. E sulla legge elettorale: «Per noi è essenziale che il premio di maggioranza sia dato alla coalizione e non alla lista». Intervento più atteso, quello di Napolitano poi contestato da Domenico Scilipoti (FI), grillini e leghisti che hanno lasciato l’Aula e da FI che ha discretamente lasciato liberi i suoi scranni. Eppure Napolitano, oltre a ripercorrere il percorso istituzionale che ha portato alla svolta sulle riforme, ha anche detto che «legittima rimane ogni posizione critica relativa a questo o a quell’aspetto di una legge di riforma certamente non perfetta».
I grillini hanno esposto il tricolore lamentando che i loro 200 emendamenti di merito non sono stati considerati. La senatrice a vita Elena Cattaneo (astenuta) ha parlato di «ircocervo costituzionale», Tocci (Pd) ha confidato di aver «fatto un sogno» («dimezzato pure il numero dei deputati») «ma non è andata così». Il capogruppo dem Luigi Zanda, ha rivendicato la bontà del «nuovo bicameralismo differenziato», una riforma arrivata con 45 anni di ritardo sulla nascita delle Regioni. Il ministro Boschi ha ringraziato tutti, a partire da Napolitano, ma poi ha citato solo la presidenza del Senato e non Pietro Grasso. Il quale, dopo aver fatto rispettare al minuto il termine del 13 ottobre, ha solo potuto dire: «Ce l’ho messa tutta per essere imparziale».
Forza Italia A favore i forzisti Villari e Bocca. Un anno fa, con il sostegno esplicito di FI, solo 4 voti in più
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