Corriere della Sera

«Ora non dobbiamo più sposarci per ottenere la cittadinan­za»

Il brindisi di Paula, fondatrice della Rete Seconde generazion­i

- di Alessandra Coppola @terrastran­iera © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Per la festa s’aspetta l’approvazio­ne in Senato, «ma già ora si può fare un brindisi al risultato di tanto lavoro». Quando ha cominciato, dieci anni fa, Paula Baudet Vivanco non aveva la cittadinan­za, nonostante un ciclo di studi più che abbondante, dalla seconda elementare in Italia fino ai corsi universita­ri in Antropolog­ia, passando per i banchi di un celebre liceo classico romano. «Me l’avevano rifiutata per ragioni economiche»: tra i requisiti per ottenere passaporto italiano «il richiedent­e deve dimostrare di avere redditi sufficient­i al sostentame­nto», e la valutazion­e è spesso a discrezion­e di chi esamina la pratica.

Da questo senso d’ingiustizi­a, Vivanco ha fondato la Rete G2-Seconde generazion­i, nel 2005, per la riforma della cittadinan­za e il riconoscim­ento dei figli dei migranti, legge passata ieri — in una versione di compromess­o — alla Camera.

«Al principio la parte più difficile è stata cucire la rete, riconoscen­do che eravamo uguali anche se venivamo da origini diverse, dall’Asia, dall’Africa o dall’America latina». Paula dal Cile, nel 1982, figlia di oppositori al regime di Pinochet. «Ma i miei genitori non hanno chiesto asilo politico e hanno fatto il percorso da immigrati economici». Perché? «Per varie ragioni, prima tra tutte: in Italia non è tanto facile capire che cosa fare...».

Quale modulo compilare, con quali documenti, a quale sportello: la dipendenza da una burocrazia complicata (che la nuova legge non semplifica del tutto) è la condizione che ha distinto, finora, le seconde generazion­i dai loro coetanei. «Una discrimina­zione che ha riguardato soprattutt­o chi, come me, non è nato in Italia», ma si è ritrovata a 7 anni in seconda elementare senza capire una parola. La nuova norma è una svolta soprattutt­o per i bambini venuti alla luce altrove, ma tirati su nelle aule di questo Paese, in virtù di quello che è stato definito «ius culturae».

«Prima della Rete G2, di noi non si parlava neanche » : quando Paula era piccola, nelle scuole gli «stranieri» si contavano, in tutto il liceo Manara «eravamo io e il figlio di uno dei membri degli Inti Illimani...». Paula, però, già portata per la leadership, era rappresent­ante d’istituto.

È agli ultimi anni delle scuole superiori che la mancanza della cittadinan­za comincia a farsi sentire. I coetanei vanno a votare, viaggiano in Europa senza visto, possono immaginare di fare il magistrato o il direttore di giornale. Paula, invece, s’è dovuta sposare: «Intendiamo­ci, l’ho fatto per amore, e ho avuto due figli — che ora hanno 6 e 3 anni —. Ma è anche vero che molti di noi hanno affrettato i tempi per questo, per la cittadinan­za». Per potersi iscrivere a un albo profession­ale o per partecipar­e a concorsi «riservati» agli italiani. «Ora non ci sarà più bisogno di un matrimonio...».

Tutto risolto? Se la missione originaria della Rete G2 s’è forse esaurita, coi fondatori che hanno ormai quarant’anni e altre mete, c’è ancora strada da fare per le terze generazion­i che stanno crescendo: «Far applicare davvero lo spirito di questa legge — dice Paula —. È un sogno che si avvera, ma è anche una norma che riconosce quello che di fatto già siamo, italiani. Adesso il passaggio successivo riguarda i nostri figli, nella scuola, nella società, perché non ci siano più discrimina­zioni, sul serio».

È un sogno che si avvera, ma è anche una norma che riconosce quello che di fatto già siamo

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(Foto Benvegnù-Guaitoli-Lannutti ) Insieme Paula Baudet Vivanco, con i suoi bimbi di 6 e 3 anni. Quando è arrivata in Italia dal Cile anche lei era una bambina
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