«Alitalia era piegata agli interessi politici»
Depositate le motivazioni: così i manager hanno danneggiato l’economia nazionale
L’amministrazione di Alitalia «fu concepita da Giancarlo Cimoli come quella di un pozzo senza fondo cui attingere impunemente». Durante la sua gestione furono effettuate «operazioni prive di ragioni economiche congrue, pericolose e dissennate attività di sperpero di risorse aziendali, dunque mere distruzioni di risorse».
È durissima la motivazione che ha convinto i giudici del tribunale di Roma a condannare lo stesso Cimoli, presidente e amministratore delegato dal 2004 al 2007, a 8 anni e 8 mesi per bancarotta fraudolenta e aggiotaggio mentre al suo predecessore Francesco Mengozzi sono stati inflitti 5 anni e i due manager Pierluigi Ceschia e Gabriele Spazzadeschi dovranno scontare rispettivamente 6 anni e 6 mesi e 6 anni. Anche perché evidenzia la necessità di «non dimenticare come le difficoltà economiche-strutturali di Alitalia si collochino in un contesto di difficoltà economiche strutturali dello Stato Italiano, connotate dalle note commistioni tra poteri economici-politici-sindacali (e mafiosi), contesto nel quale anche Alitalia gioca un ruolo importante».
Nel documento depositato ieri il collegio sposa le tesi dell’accusa rappresentata dai pubblici ministeri Stefano Pesci e Francesca Loy. E sottolinea come i vertici ed i dirigenti Alitalia imputati abbiano «agito a costo di diminuire il patrimonio di Alitalia per interessi del tutto estranei a quelli della compagnia, piegandosi ad interessi politici del tutto avulsi da quelli imprenditoriali, contribuendo ad aprire una voragine senza fondo che ha inghiottito lavoratori, famiglie, l’economia nazionale».
Le operazioni contestate riguardano la divisione di Alitalia Fly e Alitalia Servizi, la vendita di Eurofly al prezzo «incongruo e irragionevole» di 14 Fare massa critica nel settore dei porti. A indicare la necessità di accorpare le infrastrutture portuali è il ministro del Trasporti, Graziano Delrio (foto). La ragione è semplice: «Sono elemento essenziale per la competitività del Paese». Mettere mano al settore significa anche intervenire su un coacervo di interessi e prerogative a livello locale, talvolta poco trasparenti. Un tema che non sfugge a Delrio: «Se anziché pensare ciascuno al proprio orticello si cooperasse, il sistema italiano sarebbe molto più forte». Il problema però non è solo di poltrone. Lo stesso ministro spiega: «Questa milioni circa, l’affidamento di una consulenza da 50 milioni alla McKinsey per ripianare i conti. E proprio su questo la critica del collegio è feroce: «Altro che risanamento. Bisognava della logistica è una delle inefficienze maggiori, per questo il governo da un lato sta usando il vecchio piano per rilanciare su alcuni settori e, dall’altro, ha approvato il piano della portualità e della logistica». Parlando al termine del Forum di Conftrasporto e Confcommercio Delrio ha ribadito che dopo il collocamento in Borsa di Poste Italiane sarà la volta di Ferrovie. «La quotazione l’abbiamo certamente in programma e stiamo discutendo il percorso da compiere». far finta di predisporre un piano di risanamento senza il quale nessun prestito Ponte sarebbe elargito. Questo per consentire a Cimoli di restare al vertice di un’azienda per la quale avrebbe dovuto portare immediatamente i libri in Tribunale, consapevole che la situazione era ormai irreversibile. Perché non chiudere subito? Perché Cimoli non avrebbe percepito i propri compensi (né gli amici McKinsey)».
Significativo anche il giudizio espresso riguardo a Eurofly: «Appare evidente che l’operazione di vendita posta in essere da Alitalia più che avvantaggiare la Compagnia abbia avvantaggiato Eurofly e gli investitori del lucroso affare e che si sia trattata di una vendita - anzi di una svendita - nella quale, come giustamente ha osservato il pubblico ministero, era già stabilito chi doveva vincere». I componenti del collegio parlano di «vera e propria mala gestio, di sostanziale condotta dissipativa, consapevolmente posta in essere dai manager».
La vicenda
Il 28 settembre il tribunale di Roma ha condannato Giancarlo Cimoli, presidente e ad di Alitalia dal 2004 al 2007, a 8 anni e 8 mesi per bancarotta fraudolenta e aggiotaggio.
Il pozzo senza fondo Per Cimoli era «come un pozzo senza fondo cui attingere impunemente»
Al suo predecessore, dal 2001 al 2004, Francesco Mengozzi, sono stati inflitti 5 anni e due mesi.