Quei quattro anni nel bunker di Damasco Bashar emerge dall’assedio (per quanto?)
WASHINGTON La visita di Assad a Mosca non è stata solo l’omaggio al santo protettore Putin, ma anche una boccata d’ossigeno per un leader confinato nel suo Paese. Un rarissimo viaggio all’estero, il primo — ufficiale — da quando è esplosa la rivolta nel 2011.
A Bashar sono rimasti pochi posti dove poter andare. Teheran. Pyongyang. O Bielorussia. Non tutte mete amene per uno che ha studiato medicina a Londra ed era abituato, da presidente, a essere riverito in Occidente. Ora è costretto a una esistenza nel bunker, timoroso di recarsi fuori dalla Siria, come il nordcoreano Kim Jongun, diffidente di natura e per necessità.
Il raìs è diventato un paria e ha scoperto che gli amici di ieri sono diventati i nemici di oggi. Non sarà stata una sorpresa per lui, il padre Hafez ha fatto di peggio. E tanti altri, compresi gli avversari. Piroette di una storia mediorientale dove c’è sempre l’ultimo capitolo da scrivere. Magari domani Assad avrà ancora spazio politico (lui lo spera) e torneranno a considerarlo. Intanto deve pensare a resistere, muovendosi tra residenze protette e rinunciando a lasciare il Paese.
Il leader ha un palazzo a Damasco nato dal progetto di un famoso architetto, una costruzione ben difesa dai reparti della Guardia. Un «castello» dove passare il tempo con la moglie Asma e i tre figlioletti. In realtà si è raccontato che la famiglia avesse deciso di stare in un luogo più discreto. Per timore di qualche sorpresa. Paure giustificate, visto che il cognato Assef Shawqat, uno dei responsabili della sicurezza, ha fatto una brutta fine, dilaniato da una bomba nel luglio 2012 insieme ad altri gerarchi. Azione rivendicata dai ribelli, ma che ha suscitato molti sospetti sulle faide interne, abbastanza consuete per il clan degli Assad. Tanto è vero che la sorella del presidente, Bushra, e la madre, Anisa, hanno preferito trasferirsi nel Golfo, a Dubai. Dicono a causa dei rapporti tempestosi con i parenti.
Assad si è fatto vedere poco in giro. Le foto ufficiali lo hanno immortalato nelle moil schee di al Afram e al Adel a Damasco, in una chiesa devastata di Maaloula, la cittadina cristiana attaccata dai jihadisti, poi ancora all’università, in un seggio elettorale. E naturalmente tra i soldati impegnati contro gli insorti. Nel marzo 2012 il presidente ha visitato i reparti nel quartiere Bab Amr, a Homs. Nella notte del 31 dicembre 2014 ha condiviso il rancio con i militari nel distretto di Jobar, nella parte est della capitale. Lui seduto per terra con le gambe incrociate attorniato da uomini in divisa. Scene da assedio, per serrare i ranghi davanti alla sfida della ribellione.
La moglie Asma ha coperto fianco umanitario. Eccola distribuire coperte, abbracciare le madri dei caduti, distribuire i pasti ai bisognosi, festeggiare gli studenti. Immagini selezionate per trasmettere il messaggio che la vita procede anche se tra grandi sacrifici.
Per alcuni, la vicinanza dei combattimenti alla capitale potrebbe aver spinto la famiglia Assad a sistemarsi in una villa attorno a Latakia, sulla costa. L’area è il cuore del contingente militare russo, il cosidetto Alawistan, il cantone dominato dagli alawiti, la componente etnica alla quale appartiene il presidente. E c’è un indizio. Ipotizzano che su un jet Tu 154 russo decollato alla volta di Mosca ci fosse proprio Assad. Dal rifugio al posto dove i suoi avversari lo vedrebbero in esilio. In questa partita i giochi non sono certo finiti e il presidente sa che gli amici potrebbero anche venderlo.
Ultimo rifugio La famiglia si sarebbe sistemata in una villa presso Latakia, cuore del contingente russo