SISTEMA E ANTISISTEMA IL SENSO DI UN DUELLO
Scenari Nelle prossime elezioni è pressoché certo che si affronteranno, con Renzi e Grillo, un populismo dall’alto e un populismo dal basso anch’esso ideologicamente trasversale alla sinistra e alla destra tradizionali
ice Matteo Renzi che chiedersi se diminuire le tasse sia «di destra» o «di sinistra» è un esercizio del tutto ozioso. Certo, proprio sulla politica fiscale, in Occidente e persino in Italia, destra e sinistra si sono radicalmente differenziate, per il banalissimo motivo che qui si incarnano, e da qui derivano, due visioni assai diverse, se non addirittura tendenzialmente antagonistiche, della società e dello Stato. Magari, almeno in parte, è così, o potrebbe essere così, anche oggi. Magari è ancora in primo luogo sulla questione fiscale (non solo quanto si paga, ma chi paga, e per fare che cosa) che una destra liberista e una sinistra socialdemocratica potrebbero utilmente dividersi. Queste, nel messaggio renziano, sono storie del passato, che poco hanno da spartire con il presente e ancor meno con il futuro. La pressione fiscale (sulla casa e non solo) è indubbiamente troppo alta. Ma soprattutto nessuno, ricco o povero, progressista o conservatore, pensa che pagare le tasse sia bellissimo, come con l’ingenuità dell’illuminista sosteneva Tommaso Padoa Schioppa. La stragrande maggioranza dei cittadini di ogni ceto sociale è convinta, a torto o ragione, che sarebbe bene, se non proprio non pagarne affatto, pagarne molto meno. E se la stragrande maggioranza dei cittadini la vede così, non c’è che darle, in tutto o almeno nella misura del possibile, ragione.
La vera rivoluzione operata da Renzi, o se si preferisce il succo della filosofia politica del renzismo, sta esattamente qui. Gli italiani (non la gente, magari con due ‘g’, come si diceva vent’anni fa) sono fantastici, capacissimi, solo che si dia loro retta, e li si liberi dei lacci e dei lacciuoli con cui sono stati tanto a lungo legati, di fare cose che gli altri popoli nemmeno si sognano. Dunque, liberiamoli, invece di perdere tempo appresso a partiti, corpi intermedi, salotti più o meno buoni, o affannandoci a buttar giù programmi a medio e lungo termine, progetti, idee guida di cui in partenza si sa che non avranno corso. E sproniamoli un giorno sì e l’altro pure ad essere compiutamente, senza complessi e senza infingimenti, se stessi. Da un punto vista per così dire sociologico, il modello è un nuovo individualismo di massa. Da un punto di vista politico, si potrebbe parlare di una fuoriuscita dal bipolarismo malato degli ultimi vent’anni in direzione di un populismo dall’alto che, nella storia italiana, ha precedenti importanti, anche se non propriamente encomiabili.
All’interno del sistema dei partiti, o di quel pochissimo che ne resta, questo modello non ha avversari. L’assenza della destra, testimoniata dall’inarrestabile transumanza di tanta parte del suo ceto politico verso l’area di maggioranza, ha contribuito non poco a far sì che Renzi potesse saccheggiare senza incontrare resistenze, curvandolo a modo suo, buona parte dell’armamentario ideologico accumulato da Silvio Berlusconi. E sulla sinistra non renziana, interna o esterna al Pd, è meglio sorvolare. La partita si gioca fuori delle macerie del bipolarismo. Su questo inedito terreno l’avversario c’è, e ha le fattezze del Movimento Cinque Stelle. Se l’Italicum restasse così com’è, e nelle prossime elezioni politiche, quando saranno, si andasse al ballottaggio, è pressoché certo, salvo cataclismi oggi non prevedibili, che Renzi e il Pd dovrebbero vedersela con un grillino: uno scontro frontale tra «sistema» e «antisistema», o tra politica e antipolitica, certo, ma pure tra il populismo dall’alto e un populismo dal basso anch’esso ideologicamente e socialmente trasversale rispetto alla sinistra e alla destra tradizionali, e ormai dotato di radici relativamente profonde nella società e nell’elettorato.
Probabilmente a favore di Renzi e del Pd giocherebbe il timore di un salto nel buio. Ma non ci giureremmo su. E in ogni caso, prima di mettersi ad almanaccare sulle elezioni politiche prossime venture, sarebbe il caso di guardare con più attenzione alle elezioni comunali imminenti. A Milano e a Napoli, si capisce. Ma soprattutto a Roma che, in Italia e fuori, non è considerata esattamente alla stregua di Parma, Livorno o Civitavecchia. Esagera Grillo a sostenere che, se riuscirà a prendere la capitale, prenderà l’Italia. Ma basta fare quattro chiacchiere in città, anche con persone che con il grillismo hanno poco da spartire, per capire che l’ipotesi della conquista di Roma da parte del Movimento Cinque Stelle rientra di sicuro nell’ambito del possibile, e forse anche in quello del probabile. Se scoppiasse una simile bomba, non sarebbe facile derubricare l’evento, su cui si concentrerebbe l’attenzione dei media di tutto il mondo, al rango di un fatto politico importante, sì, ma in ultima analisi locale.
Da un punto di vista politico si potrebbe ormai parlare nella situazione italiana di una fuoriuscita dal bipolarismo malato che ha resistito negli ultimi venti anni
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