In fuga dallo Sri Lanka ma verso un altro inferno
Una domanda di moda chiede: preferiresti essere sbranato da un coccodrillo o un leone? Traduzione, nel folgorante Dheepan di Michel Audiard (Palma a Cannes): meglio la violenza della guerra nello Sri Lanka delle Tigri Tamil o quella della banlieu parigina dove si smercia droga no stop? «Se c’è chi dà calci son io, se c’è chi li piglia sarai tu», scrivevano Brecht e Weill in Mahagonny: in ogni caso è spirata ogni ipotesi di civiltà e di morale.
Audiard è un poeta della sintesi visiva, un’immagine per spiegare prima e dopo: prefazione breve, documentaria, di un Paese già sconfitto da cui si stagliano tre figure: un uomo, una donna, una bimba di 9 anni. Una finta famiglia (il caso di dire: di fatto) con finti passaporti, giusto per passare i controlli e arrivare nella terra promessa francese (ogni paragone con Sacra Famiglia non è casual) dove li aspetta un inferno ancora peggiore.
Assunto come guardiano, l’uomo (un vero «tigrotto» tamil, rifugiato a Parigi dal ‘93) nella peggior banlieu, quella dell’Odio di Kassovitz, si scontra con una gang di trafficanti. E qui il film gioca raffinate carte relazionali, l’incontro della donna col boss, la stupita rassegnazione da nuovo Giobbe finché resiste ( Cane di paglia citato di proposito).
Niente folk, virgolette, morali: Dheepan sta nella forza e nella tenerezza di un pugno che diventa carezza e viceversa, incubo che scava con psicologia e che avvolge irto di emozioni di musica e luci, nell’attuale potenza di un western che non rinuncia alla più amara speranza.