Corriere della Sera

Renzi ha avuto il merito di saper superare la curvatura pessimista degli ultimi anni, tuttavia per una tenuta di lungo periodo occorrono scelte non legate soltanto all’immediato

- Di Mauro Magatti

La curvatura pessimista della psicologia collettiva dell’Italia degli ultimi anni è uno degli aspetti che più colpisce gli osservator­i stranieri. Quasi una sottile malattia dello spirito che colpisce le società decadenti, per le quali il futuro è senz’altro peggiore del passato.

Per questo, da quando è arrivato al governo, Renzi ha fatto della ricostruzi­one della fiducia del Paese nelle proprie possibilit­à un punto fondamenta­le della sua azione. La comunicazi­one martellant­e, a tratti iperbolica, insiste perentoria­mente su questo punto: convincere gli italiani che ce la si può fare, che è la volta buona, che il Paese ha svoltato.

Per questo, in fondo, gli italiani lo hanno amato e sostenuto. L’idea di affidarsi a un primo ministro giovane ed energetico è apparsa come un modo per risollevar­si e provare a riaprire il futuro.

Che il primo ministro non perda occasione per rilanciare il suo leitmotiv è dunque scontato. Cosa puntualmen­te accaduta con la pubblicazi­one dei dati positivi sul Prodotto interno lordo e sulla occupazion­e, in coincidenz­a con il lancio della legge di Stabilità.

Nel pigiare il tasto dell’ottimismo Renzi dimostra di aver capito che uno dei compiti della leadership contempora­nea (anche per compensare l’indebolirs­i delle leve di governo) è contribuir­e a plasmare la cornice emozionale di comunità estremamen­te volubili e struttural­mente esposte a ventate umorali, dai potenziali effetti anche molto negativi. In fondo, solo se c’è fiducia le imprese investono, le famiglie spendono, le banche prestano, i giovani intraprend­ono.

Ma, oltre all’asse ottimismo-pessimismo, c’è un secondo piano del discorso pubblico che deve essere curato: e cioè il senso delle sfide che un Paese deve, unito, saper affrontare. Un senso necessario per dare coerenza all’azione di milioni di attori economici e sociali. Oltre alle leggi e ai regolament­i, è la creazione di una cornice simbolica condivisa che riduce la cacofonia e il disordine sempre risorgenti.

Senza questo secondo piano comunicati­vo — peraltro sistematic­amente abbandonat­o da molti anni — l’azione di governo perde di efficacia: la somma di singole misure non fa una politica.

In un Paese come l’Italia che non deve uscire da una crisi congiuntur­ale ma che va riformato in profondità, tra l’ottimismo che motiva al fare e l’ottimismo che giustifica la conservazi­one c’è solo una sottile differenza.

Renzi si muove dunque su un crinale delicato. Criticare il premier perché usa toni da televendit­a non coglie il punto. Sarebbe come imputare solo a lui uno dei mali che affligge tutte le democrazie contempora­nee.

I limiti principali vanno in- vece cercati sul secondo piano. Dopo un anno e mezzo, la direzione di senso sulla quale si intende far camminare il Paese (e basterebbe camminare con passo costante, senza arrivare a quel correre che Renzi ama evocare) non è chiara.

Il governo ha preso alcune decisioni importanti che hanno rimesso in moto l’economia. Ma su tanti temi (dalla scuola agli assetti istituzion­ali) la sua azione è apparsa meno lucida. E non basta dire che è colpa di una maggioranz­a divisa. Sia perché è stato Renzi a dire fin dall’inizio che avrebbe portato a termine la legislatur­a, sia perché la continua frammentaz­ione è il male antico di questo Paese.

Renzi sa benissimo che, al di là dei propri meriti, le condizioni di contesto (a partire dalla maggiore flessibili­tà europea) hanno creato una finestra di tempo per poter incidere sugli assetti del Paese. L’occasione non va sprecata. Al di

Discorso pubblico C’è un altro piano che deve essere curato: il senso delle sfide difficili da affrontare Passioni tristi Da molto tempo gli italiani non credono più di poter avere a fianco le istituzion­i

là della congiuntur­a, l’Italia ha bisogno di riacquisir­e l’idea di essere unita attorno ad obiettivi veri. Diversamen­te, anche l’ottimismo renziano finirà per apparire sguaiato.

Le passioni tristi che hanno pervaso il Paese derivano dal fatto che, da molto tempo, gli italiani non credono più di poter avere le istituzion­i al loro fianco.

Nel suo discorso pubblico e nella sequenza delle sue decisioni, Renzi stia attento a non fare l’errore che poi fu quello dei suoi predecesso­ri. Nelle società contempora­nee, se i leader non sono capaci di «tenere» il clima emotivo della collettivi­tà nazionale, non possono governare. Ma la gestione della psicologia collettiva di breve periodo rischia sempre di far perdere coerenza all’azione che si vorrebbe svolgere. In una società complessa, la frequenza e l’intensità delle urgenze sono tali da assorbire completame­nte ogni energia, finendo per inchiodare al day by day.

È la capacità di tenere insieme questi due piani del discorso che qualifica — o meno — l’azione politica oggi.

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