IL MODELLO DI FAMIGLIA CHE ESCE DAL SINODO
Il Sinodo si avvia alla conclusione e se ne può già fare un bilancio storicoteologico. Il Sinodo ha distinto, con una superficialità impensabile dopo il Vaticano II, fra dottrina e pastorale, quasi che il principio pastorale fosse la confezione di una verità pietrosa e non la misura della intelligenza del cuore del Vangelo. Ha visto tre episodi penosi: la rinuncia al celibato e alla modestia di un prete — che non ha fatto carriera da solo; il falso giornalistico su una lettera di cardinali — che hanno il dovere, prima che il diritto di dire al Papa che cosa pensano; e il cancro inventato — che ricorda più Il Vernacoliere che un complotto. E ha discusso, il Sinodo, di famiglie e relazioni: ma ha visto accadere due cose immensamente più importanti.
Restituendo ai vescovi il giudizio sulla nullità Bergoglio non ha cambiato lo status dei divorziati, ma ha fatto un silenzioso, enorme atto di riforma del papato. Dal secolo XI il Pontefice ha sempre sottratto potestà dei vescovi e invocando motivi solidi o meno. Paolo VI restituì qualche facoltà in ossequio al Vaticano II. Mai da mille anni un Papa aveva ceduto poteri di sua volontà. Facendolo, Francesco ha detto a padri e madri sinodali che il loro compito non è spingere il Papa a destra o a sinistra, ma fare un «balzo innanzi » nella propria fedeltà al Vangelo.
Inoltre, semplicemente restando seduto in Sinodo, ha compiuto un altro atto di riforma enorme riguardante la sinodalità della Chiesa. Il progressismo teologico invocava negli anni Settanta la «democratizzazione» della Chiesa: dimenticando che la sinodalità è molto più della democrazia: perché fa appello non alla sovranità, ma alla comunione.
La sinodalità è rimasta un tabù nella Chiesa cattolica per decenni. La Chiesa di cui il Papa è primate, quella italiana, un Sinodo non l’ha mai fatto, per ora. Lo stesso Sinodo dei vescovi, nonostante il nome, non è mai stato altro che organo consultivo, che consegnava al Papa i propri antagonismi perché lui mediasse. Francesco ha agito sul Sinodo facendone, a norme invariate, un organo di collegialità effettiva e di rango quasi-conciliare.
La collegialità (realtà di diritto divino per il cattolicesimo) si esprime nel concilio, ma non solo. Francesco sa per esperienza che le assemblee episcopali esprimono un intuito autorevole di fede; e sa che la sinodalità si può esprimere solo in un clima di «parresia» (la franchezza nell’esprimersi, ndr). E ha scoperto che basta che il Papa sieda in un organo perché il sub Petro e il cum Petro cessino di essere cautele limitative e diventino garanzia di comunione.
Riformando il papato e restaurando la sinodalità ecclesiologica il Papa ha mostrato che almeno una famiglia esce da questo Sinodo più libera e più forte: la famiglia della Chiesa. Le altre di conseguenza.