Corriere della Sera

Tokyo mangia sano La B-class è nata qui

In vista delle Olimpiadi 2020, tutti i piatti della città «dove ci si nutre meglio al mondo». Menu salutari e non solo sushi: ora si punta sul «washoku», le specialità tipiche considerat­e patrimonio dell’Unesco

- Isabella Fantigross­i

Giappo-mania. Mentre a Milano davanti al padiglione nipponico i turisti di Expo non mancano e le code non accennano ad accorciars­i, in tutto il pianeta gli occhi attenti dei «gastro-fanatici» sono sempre più rivolti a Oriente. Destinazio­ne Tokyo. Se all’inizio dell’anno Forbes ha inserito il Giappone tra le dieci mete da non perdere nel 2015, nelle scorse settimane la rivista americana Saveur ha definito la capitale il posto dove si mangia meglio al mondo. Da qualche tempo, del resto, è la città con più ristoranti stellati del pianeta: sono 226. Mentre la sua diretta rivale, Parigi, è ferma a 94. E oggi, in vista delle Olimpiadi del 2020, sulla promozione del settore «food» Tokyo sta puntando parecchio. Facendo leva non tanto sull’inflaziona­to sushi, quanto sul «washoku», magari low-cost, la cucina tradiziona­le nipponica inserita nel 2013 nella lista Unesco come patrimonio dell’umanità.

Ma qual è il segreto della città? «Negli ultimi dieci anni — ha detto alla Cnn Kenichi Hashimoto, lo chef del «Ryozanpaku» di Kyoto, dal 2009 premiato con due stelle Michelin — la domanda di cibo sano è aumentata ovunque» e la cucina dei giapponesi, maniaci degli ingredient­i naturali e freschissi­mi, «risponde alla perfezione a questa richiesta». Non solo. La scena gastronomi­ca della capitale è in fermento. Al di là del mercato del pesce di Tsukiji, il più grande al mondo, tappa culinaria obbligata per chiunque, dove c’è chi si presenta all’alba per osservare l’asta del tonno, «una vita intera non basta a conoscere tutti i ristoranti di Tokyo», sostiene Thierry Marais, executive chef del Ritz Carlton. «E ciò mi frustra molto come cuoco, perché non sarò mai in grado di provarli tutti. Molti sono piccolissi­mi, con solamente otto o dieci posti, ma specializz­ati in qualcosa di particolar­e, griglia, tempura o cucina kaiseki». E il vantaggio sui ristoranti europei, da cinquanta o più coperti, «dove la coerenza diventa più difficile», è enorme. Non si tratta, insomma, di solo sushi che, contrariam­ente a quello che pensiamo tutti, non è la ricetta nazionale del Giappone ma solo un piatto da preparare a casa in occasioni particolar­i o da mangiare fuori nei locali tipici. Ma di alta cucina, molto spesso internazio­nale, come quella di Luca Fantin, unico stellato italiano di Tokyo nel «Bulgari Ginza Tower», locale cult della città, o di Yoshi Yamata, lo chef del «T.Y.Harbor» che si è formato in Italia al «Don Alfonso 1890», o ancora di Yoshihiro Narisawa del «Les Créations de Narisawa». Ma anche di locali più economici, come i ristoranti gourmet «B-class»: fenomeno gastronomi­co nato proprio in Giappone, ristoranti di qualità dal prezzo popolare dove assaggiare i «ramen» (le zuppe a base di spaghetti all’orientale), gli «yakitori» (cioè gli spiedini di pollo) alla griglia o i «gyoza» (i ravioli ripieni di carne o verdura). L’indirizzo da appuntarsi? «Gonpachi», dove tra l’altro Quentin Tarantino ha girato alcune scene di Kill Bill.

E quali sono i veri piatti di Tokyo, magari da provare a cucinare a casa? «Quando sono arrivata in Francia, mi sono resa conto che la cucina giapponese era abbastanza sconosciut­a — racconta nel suo nuovo Tokyo. Le ricette di culto (Guido Tommasi editore) Maori Murota, ex stilista giapponese con esperienze a New York e Parigi prima di mollare le passerelle e diventare chef —. Spesso era confusa con le altre cucine asiatiche oppure l’idea restava piuttosto vaga». C’è chi pensa ancora, per esempio, che il tofu sia insapore. Ma «esistono modi diversi di prepararlo, è importante scegliere quello adatto a ciascun piatto». O che le zuppe di miso non sappiano di niente: basta conoscere il trucco della tradizione nipponica, servirsi di un buon brodo, il «dashi». Il pasto principale a Tokyo resta, comunque, la colazione: a base di riso, zuppa di miso (alimento derivato dalla soia), «tsukemono» (le verdure sott’aceto), pesce e uova. Non meno importante la merenda: «Ci piace mangiare dolce», dice Maori Murota. E se «dai dolci occidental­i ci aspettiamo grande leggerezza», quelli giapponesi sono «molto zuccherini e compatti». Come la pasta di patate da preparare con burro, zucchero, latte, uova e panna. A pranzo, invece, spaghetti, riso, pesce o carne sono gli ingredient­i essenziali dei «bento», i vassoi dei lavoratori di Tokyo, talmente tipici che persino il Kabuki, il teatro tradiziona­le della città, ha il suo, da consumarsi tra un atto e l’altro. E quello più poetico? L’«hanami bento», coloratiss­imo, da gustarsi «contemplan­do la bellezza dei ciliegi in fiore».

@isafantigr­ossi

I ristoranti stellati? Sono 226, più di Parigi E anche quelli low cost sono tanti (e buoni)

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