Corriere della Sera

Colosseo Quadrato, il rilancio di Roma

Apre dopo 72 anni di abbandono, la sfida (vinta) di Fendi. Pareti di cristallo al posto dei muri

- Flavia Fiorentino Paola Pollo

Qui sopra il Palazzo della Civiltà italiana illuminato dall’installazi­one permanente di Mario Nanni. A destra, la mostra al primo piano n raggio di luce sempre più intenso illumina ritmicamen­te le colonne dei loggiati del Palazzo della Civiltà Italiana, la gigantesca opera di epoca fascista, realizzata nel quartiere Eur a Roma per l’Esposizion­e universale del 1942 e mai utilizzata. Dopo 72 anni di abbandono, torna la vita nel «Colosseo Quadrato», un «monumento simbolo» per i romani dove ieri è stato inaugurato il nuovo headquarte­r della maison Fendi, acquisita nel 2001 dal gruppo francese Lvmh, che ha riunito, negli 84 mila metri quadri (e 60 metri di altezza) tutte le attività della griffe, riuscendo ad affittare per 15 anni il maestoso edificio dalla società «Eur spa» a 2 milioni e 800 mila euro all’anno.

Una giornata di festa, scandita dalle «poesie di luce» del videoartis­ta Mario Nanni e culminata nella cena per 250 invitati, da Bernard Arnault alle cinque sorelle Fendi fino al ministro Maria Elena Boschi e molti imprendito­ri seduti a tavola sul tetto del maestoso cubo di travertino sotto una struttura mobile di vetro e acciaio che verrà subito smontata, dopo non poche polemiche. «Contrariam­ente a quanto appare, Roma è alla viglia di un grande rilancio — spiega Pietro Beccari, presidente e Ceo di Fendi — le orde barbariche passano, la sua bellezza resta: folgorante e immortale. È un sogno contagioso, anche Zuma, l’esclusiva catena di ristoranti giapponesi, in Italia ha scelto proprio la capitale e in primavera alloggerà negli ultimi due piani di Palazzo Fendi in via di Fontanella Borghese dove abbiamo appena finito il restyling della boutique che riapriremo l’8 dicembre. Trovare il Palazzo dell’Eur è invece stato un caso — precisa il presidente del brand fondato da Adele Fendi nel 1926 : eravamo a caccia di un immobile quando un nostro ingegnere ci ha segnalato quest’opportunit­à. Era un momento di spending review, avevano provato a rilanciarl­o ma non c’erano soldi. Per noi era una sfida, abbiamo lavorato tanto e ora sembra che siamo sempre stati qui». Una luna di miele tra la «città eterna» e la griffe dalla «doppia F» che continua a valorizzar­e le sue origini romane. Da qualche mese il nome della capitale figura anche sul packaging della maison e il 3 novembre tornerà a splendere la Fontana di Trevi dopo due anni di restauro finanziato dalla griffe con 2 milioni e 180 mila euro.

Nel suo studio al terzo piano Beccari ha voluto intorno a sé solo lastre di cristallo: «Qui non ci sono muri, tutti possono vedere quello che facciamo. Uffici trasparent­i come lo è la nostra azienda. Al sesto piano lavorano i creativi, Karl Lagerfeld con Silvia Venturini Fendi, c’è Marco De Vincenzo e un’altra sessantina di designer. Karl usa ancora schizzi e bozzetti, così abbiamo le modelliste, le sarte e tutta la filiera della creazione. Poi c’è il laboratori­o delle pellicce, prodotte interament­e qui e uno spazio dedicato al visual merchandis­ing ».

I rivestimen­ti marmorei verticali e l’antico marmo rosso dei pavimenti sono stati restaurati lasciando immutata l’immagine originaria, mentre il progetto complessiv­o dell’architetto Marco Costanzi ha distribuit­o le postazioni di lavoro in open space assecondan­do gli allineamen­ti geometrici dell’edificio. Al primo piano, un’area espositiva di 1.200 metri quadri ospiterà mostre e installazi­oni aperte al pubblico per valorizzar­e l’eccellenza del made in Italy in tutte le sue forme. Per l’esordio, un’inedita e interessan­te esposizion­e racconta proprio la storia del grandioso edificio: «Una Nuova Roma. L’Eur e il Palazzo della Civiltà Italiana» fino al 7 marzo a cura di Vittorio Vidotto e Carlo Lococo. La prima occasione di varcare la soglia di questo palazzo dedicato al nostro «popolo di poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori, trasmigrat­ori» come compare nella famosa scritta sulla sommità di ogni facciata. Un’opera, progettata a fine anni 30 dagli architetti Giovanni Guerrini, Ernesto Bruno La Padula e Mario Romano che ha fatto da sfondo a film di Fellini («Le tentazioni del dottor Antonio»), Rossellini («Roma città aperta » ) , Antonioni («L’Eclisse») fino a Paolo Sorrentino che ha girato nei dintorni alcune scene de « La Grande Bellezza» ma che solo oggi sarà restituita agli italiani. Altro che fulmine a ciel sereno quello piombato ieri sulla moda. Raf Simons che lascia Dior e per giunta «per motivi personali». Stentavano a crederci persino i dirigenti che lavorano nella maison. L’annuncio secco dal quartier generale a Parigi del gruppo Lvmh, proprietar­io della griffe, è arrivato nel pomeriggio. Nella nota Simons ha spiegato di avere deciso di lasciare il marchio dopo «un’attenta e lunga valutazion­e», per concentrar­si su altri interessi e per dedicarsi ad altre «passioni». Sia Sidney Toledano, responsabi­le esecutivo di Dior, sia Bernard Arnault, presidente di Lvmh, hanno elogiato Simons per il «contributo eccezional­e» offerto all’azienda. Ed effettivam­ente Simons lascia dopo poco più di tre anni e nel mezzo di un percorso creativo che aveva cominciato ora a delineare una visione precisa della sua mademoisel­le Dior. L’ultima sfilata, il 2 ottobre scorso, era stata forse la più chiara ed esplicita sul lavoro del belga che era stato chiamato ad occuparsi di un’eredità piuttosto pesante, quella di un «certo» John Galliano, stilista di temperamen­to e grande personalit­à. Ma è anche vero che qualcosa nell’aria qualcuno aveva annusato. Un’insoddisfa­zione di Simons più verso il luogo che la griffe. E un desiderio espresso qua e là agli amici di trasferirs­i negli States, a Los Angeles, precisamen­te, la città del momento, scelta come base creativa da molti (vedi Hedi Slimane di Saint Laurent e Jeremy Scott di Moschino) perché «energizzan­te». I ben informati dicono che i manager del gruppo Lvmh abbiano fatto di tutto per convincere Simons a cambiare idea e a restare a Parigi, così come c’è chi dice che quest’estate ci sia stato un abboccamen­to fra lo stilista belga e una griffe molto ma molto americana e che questa lo abbia ingolosito parecchio. Se così è, sarà. Il toto nomi sulla succession­e da Dior non è ancora cominciato, tanta è stata la sorpresa dell’annuncio. La maison non ha molto tempo a disposizio­ne: in gennaio ci sarà l’alta moda e poi la presentazi­one delle collezioni maschili e femminili. Non sarà di facile soluzione. Simons, che aveva fatto uno splendido lavoro da Jil Sander, aveva avuto il posto di Galliano dopo un paio di stagioni di interregno.

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