IO, VIANDANTE NELL’UMANITÀ
CAPOSSELA AL MEDIMEX CON IL NUOVO FILM «MUSICA O CINEMA, PER ME È CANTO EPICO »
L’appuntamento Il cantautore è tra i protagonisti a Bari della rassegna che unisce artisti, produttori, organizzatori e tecnici. Qui spiega come ne «Il paese dei
coppoloni» ha ritrovato scenari e persone che lo hanno ispirato in 25 anni di carriera
Un viaggio cinematografico. Narrato, cantato e vissuto in prima persona da Vinicio Capossela, nell’immaginario che ha ispirato il suo percorso artistico nell’ultimo romanzo Il paese dei coppoloni, vincitore del Dante al Premio Strega. Capossela sbarca col suo carico di ricordi e di immaginazione a Bari per Medimex, per presentare il nuovo documentario.
Quale è la chiave narrativa che unisce il suo modo di fare musica, teatro, cinema o letteratura?
La sostanza è sempre la stessa, cambiano i linguaggi, i gesti per esprimerla. Credo che la figura iniziale dell’aedo contenga tutto: scenografia, sceneggiatura, gesto, teatro, rielaborazione del mondo attraverso il canto, e testo misurato in passi. Cammino accentato. Battere e levare. Cosa la ispira? La letteratura, di ogni tipo e genere, dai rotoli di Qumran al saggio che li studia, dagli appunti sul tovagliolo ai ritagli di giornale, e soprattutto i grandi libri aperti che sono gli uomini. Mi piace studiare, sul campo e anche sui testi. Definire il territorio di un’opera e mettercisi al lavoro sopra. Sono gestazioni che durano anni. Poi ascolto la musica di cui ho fame. C’è musica per ogni stato d’animo e noi siamo tante cose insieme, spesso in contraddizione fra loro. Lo avevano capito bene i greci che nel politeismo divinizzavano il molteplice che è in noi.
A giudicare dalla sua vena creativa, difficile immaginarsi un Capossela a riposo...
Mi piace lavorare per opere. Progetti di respiro. Questo significa lavorare con tempi che ricordano quelli della terra: semina, raccolto, lutto del raccolto. Fatico ad abitare qualcosa che non sia quello che faccio.
Quando è maturato un legame così forte con le sue origini da dedicare al paese di Cairano un libro ma anche un festival come lo Sponz che si svolge a Calitri, sempre in Irpinia ?
Attingo a un passato mitico. Quelle terre sono per me esattamente quello che sono ne Il paese dei coppoloni, terre in cui c’è una zolla di purezza, di unità iniziale. È un bacino di tempo immobile. Che non vuole coincidere esattamente con la geografia. Lo Sponz Fest è il tentativo, l’opera collettiva di dare corpo a questo immaginario potente che quelle terre evocano. In musica, in racconto e in visione. Quei cieli sospesi e ispidi sono la scenografia del nostro camminare la faccia della terra.
Che sensazione ha provato a vedere il suo libro premiato col Dante allo Strega?
Mi ha fatto piacere soprattutto per la lingua che si parla nel libro. C’è qualcosa di comico, di commedia in questo. E poi il volgare, questa lingua sporca della terra da cui viene. Insomma qualcosa di dantesco c’è.
Cosa aggiunge il documentario che presenta a Medimex alla saga dei coppoloni?
Laeffe e il regista Stefano Obino avevano lavorato a una sorta di documentario sui luoghi del libro cercando di preservarne l’immaginario, più che svelarlo. C’era una certa forza nelle immagini. Hanno deciso di insistere e ci hanno prodi
Il futuro A 50 anni sono a un bel giro di gala: d’ora in poi vestirò gli spinosi panni del trovatore folk
posto di girare ancora e integrare per arrivare a una versione di misura filmica. E’ una viandanza visiva e sonora. La colonna sonora comprende stralci dai brani del prossimo disco, che è la versione in canzoni di quel mondo.
Qual è la sensazione più bella che ha provato riempiendo i teatri di Parigi o Berna in questo tour europeo?
Suonare all’estero permette di abbandonarsi con maggiore libertà alla suggestione delle canzoni. Abbiamo organizzato questo giro di concerti non solo per festeggiare l’anniversario di questi 25 anni di cammino, ma anche per darsi l’occasione di fare concerti non precisamente connotati in una tournée. Questo giro terminerà in dicembre con alcuni concerti in teatri mai affrontati prima. E probabilmente con una gran festa finale. Sono contento di esserci arrivato ancora vivo a queste nozze d’argento con la musica, e questo qu’Art di secolo, mi sembra un bel giro di gala, prima di indossare gli spinosi panni del trovatore folk, cosa che farò dall’anno prossimo.
Chi era Vinicio Capossela a 24 anni, prima di iniziare questa lunga cavalcata. E come cambierà girata la boa dei 50?
Sono stato imbianchino, studente di chimica, poi di economia. Tastierista di un gruppo rock, pianista di un duo sentimentale, raccoglitore di frutta, barista, suonatore solitario, e poi ho provato a diventare un cantante confidenziale. Sul corrente giro di boa anagrafico, posso solo dire che mi pare finisca il tempo in battere e inizi quello in levare. Si proviene dal dubbio, si procede verso la Verità. E si finisce infine al mondo della Verità, quando si stendono i piedi.