Eno, l’intellettuale che ama mescolare le carte del rock
Entusiasmo Diodato (al secolo Antonio Diodato) durante l’incontro con gli studenti nella scorsa edizione di Medimex Kids. Il cantante, aostano ma di origini pugliesi, visiterà anche quest’anno le scuole della regione (nel suo caso a Bari e Brindisi) in compagnia di altri artisti pugliesi (Negramaro, Bari Jungle Brothers, Erica Mou, Renzo Rubino, Leitmotive, Non Giovanni, Radiodervish, Sud Sound System e Populous connotazioni tecnologiche, è un filone che Eno, nato 67 anni fa a Ipswich, vecchio centro industriale inglese, coltiva dagli anni del liceo artistico. Ma sarebbe difficile valutare l’impatto e la popolarità di questa sua attività se dietro non ci fosse la credibilità ottenuta nella musica rock, pur avendo sempre puntualizzato di essere un «non musicista». Quello di Eno è un caso unico e affascinante di un nome che è quasi un brand, una garanzia di livello intellettuale superiore, cui ha lavorato con abilità alzando costantemente l’asticella e le pretese
Ieri e oggi A destra, Eno nel look anni 70, sulla copertina di un documentario; in basso l’artista oggi artistiche di chi lavorava con lui e del suo pubblico.
Ha messo il suo marchio su dischi storici di artisti di primissimo piano (David Bowie, Talking Heads, Devo, U2, Coldplay), ma la sua presenza non comporta un certo tipo di sonorità, o un particolare gusto come per altri produttori affermati come Nile Rodgers o Giorgio Moroder. Per il maggiore critico musicale italiano, Riccardo Bertoncelli, Eno è «un pensatore di musica, uno stilista sonoro». La sua è una griffe, e come tale la volle Microsoft nel 1994, chiedendo la sua firma di prestigio
L’opera
e dei «light box», quadri luminosi già proposti dall’artista sulla brevissima sequenza di note per l’apertura di Windows 95: lui lo fece, facendosi pagare non poco. Poi dichiarò di averla composta con un Macintosh. Forse Eno ha capito, negli anni Settanta, che al rock mancava la figura dell’intellettuale, e che c’era un’élite che la reclamava. Già in gioventù, nei Roxy Music, unica band di cui ha fatto parte (e per pochissimo tempo) lasciava che a suonare e inventare fossero gli altri, ritagliandosi la figura dello stratega dietro le quinte, che colorava il tutto con i suoni elettronici.
«I Roxy Music sono sempre stati il MIO gruppo», specificò un giorno, offeso, il dandy Bryan Ferry, sapendo che una parte della critica guardava invece, e con una certa empatia, allo stempiato nerd che cercava di rimediare alla poca prestanza rock dissimulando con trucco e vestiti esagerati. E forse la sua invenzione più emblematica, ancora più della eterea ambient music, è proprio un mazzo di carte: le cosiddette Strategie oblique, con aforismi in stile IChing per stimolare chi cerchi idee, nella musica come in qualsiasi tipo di lavoro creativo.
In fondo, questo è stato, in più di quarant’anni, il lavoro di Eno: spiazzare, mettere in discussione. Non c’è un filo conduttore nei capolavori da lui prodotti: solo l’immanente presenza della sua intelligenza. Ovviamente, obliqua.
Le scelte Le installazioni visive in scena a Bari sono la dimostrazione delle sue «strategie oblique»