L’anomalia delle polizze, una beffa Capitale
Dunque non si tratta di un caso episodico. Bensì di una prassi, come conferma Ignazio Marino. Una prassi, dice, seguita da tanti dirigenti e amministratori locali. Non solo a Roma. Ma come dar torto a un assessore che si assicura contro il rischio di finire sotto la scure della Corte dei conti per un danno erariale connesso alla propria attività istituzionale? È perfettamente legittimo: il dirigente o il politico stipulano una bella polizza con una delle tante compagnie che svolgono questo servizio e si mettono al sicuro. E qui veniamo ad alcune curiose peculiarità del caso romano. La più singolare è nella natura della compagnia presso cui si sono assicurati politici e dirigenti comunali ben prima che il sindaco avviasse la pratica per una polizza mai perfezionata. La Adir, acronimo che sta per Assicurazioni di Roma, è infatti tutta di proprietà pubblica. Azionista di maggioranza è il Campidoglio, che partecipa al capitale direttamente e attraverso Atac e Ama. Mentre un quota di minoranza è posseduta da Cotral Patrimonio: Regione Lazio e Province di Roma, Rieti e Viterbo. Se ne può agevolmente ricavare che l’eventuale danno erariale provocato al Comune da un assicurato dovrebbe essere dunque pagato dal Comune stesso, più Regione e tre Province. Una follia, per quanto sulla carta perfettamente legittima, conseguente a un’assurdità che consiste nell’azionariato pubblico della compagnia. Nata nel 1971 in pieno statalismo economico, è arrivata tale e quale fino ai giorni nostri, allargando via via la propria sfera d’azione. Oggi copre la Rc auto dei mezzi di trasporto comunali, dai bus dell’Atac ai camion dell’Ama, fino alle macchine dei vigili urbani. Ma controlla pure una compagnia di assicurazioni sulla vita. E propone agli amministratori a ai dirigenti polizze per la copertura dai rischi collegati alla loro funzione. Con un surreale salto mortale indietro nel tempo. In passato era normale che gli amministratori di un qualsiasi ente locale fossero assicurati contro il rischio di incorrere in qualche danno erariale, con polizze a carico dell’ente che amministravano. Normale fino a quando la Corte dei conti non cominciò a condannare quegli stessi amministratori per il danno erariale causato proprio dal fatto di farsi pagare i premi da Pantalone. Ne sa qualcosa Nello Musumeci, ex sottosegretario nell’ultimo governo Berlusconi e ora deputato regionale siciliano. Nel 2006 venne condannato dalla magistratura contabile a restituire 4.196 euro alla Provincia di Catania, della quale era stato presidente, perché la sua giunta aveva deliberato di assicurarsi a spese del bilancio provinciale. Condanna successivamente annullata in appello. Perché nel frattempo il governo di Romano Prodi, con la legge finanziaria approvata poche settimane prima delle dimissioni, aveva sì deciso di porre fine a quello sconcio stabilendo che «è nullo il contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per danni cagionati allo stato o a enti pubblici…», ma nella stessa norma prorogava la validità di quei contratti per altri sei mesi. Sanando così, implicitamente, tutte le polizze di quel genere stipulate in precedenza. Dal primo luglio 2008 è perciò in vigore il principio che un amministratore deve pagarsi la polizza di tasca propria. Ma se è illegale addossare allo stato il costo dell’assicurazione, adesso scopriamo che non lo sarebbe affatto fargli pagare addirittura il conto del danno.