Corriere della Sera

L’anomalia delle polizze, una beffa Capitale

- Di Sergio Rizzo

Dunque non si tratta di un caso episodico. Bensì di una prassi, come conferma Ignazio Marino. Una prassi, dice, seguita da tanti dirigenti e amministra­tori locali. Non solo a Roma. Ma come dar torto a un assessore che si assicura contro il rischio di finire sotto la scure della Corte dei conti per un danno erariale connesso alla propria attività istituzion­ale? È perfettame­nte legittimo: il dirigente o il politico stipulano una bella polizza con una delle tante compagnie che svolgono questo servizio e si mettono al sicuro. E qui veniamo ad alcune curiose peculiarit­à del caso romano. La più singolare è nella natura della compagnia presso cui si sono assicurati politici e dirigenti comunali ben prima che il sindaco avviasse la pratica per una polizza mai perfeziona­ta. La Adir, acronimo che sta per Assicurazi­oni di Roma, è infatti tutta di proprietà pubblica. Azionista di maggioranz­a è il Campidogli­o, che partecipa al capitale direttamen­te e attraverso Atac e Ama. Mentre un quota di minoranza è posseduta da Cotral Patrimonio: Regione Lazio e Province di Roma, Rieti e Viterbo. Se ne può agevolment­e ricavare che l’eventuale danno erariale provocato al Comune da un assicurato dovrebbe essere dunque pagato dal Comune stesso, più Regione e tre Province. Una follia, per quanto sulla carta perfettame­nte legittima, conseguent­e a un’assurdità che consiste nell’azionariat­o pubblico della compagnia. Nata nel 1971 in pieno statalismo economico, è arrivata tale e quale fino ai giorni nostri, allargando via via la propria sfera d’azione. Oggi copre la Rc auto dei mezzi di trasporto comunali, dai bus dell’Atac ai camion dell’Ama, fino alle macchine dei vigili urbani. Ma controlla pure una compagnia di assicurazi­oni sulla vita. E propone agli amministra­tori a ai dirigenti polizze per la copertura dai rischi collegati alla loro funzione. Con un surreale salto mortale indietro nel tempo. In passato era normale che gli amministra­tori di un qualsiasi ente locale fossero assicurati contro il rischio di incorrere in qualche danno erariale, con polizze a carico dell’ente che amministra­vano. Normale fino a quando la Corte dei conti non cominciò a condannare quegli stessi amministra­tori per il danno erariale causato proprio dal fatto di farsi pagare i premi da Pantalone. Ne sa qualcosa Nello Musumeci, ex sottosegre­tario nell’ultimo governo Berlusconi e ora deputato regionale siciliano. Nel 2006 venne condannato dalla magistratu­ra contabile a restituire 4.196 euro alla Provincia di Catania, della quale era stato presidente, perché la sua giunta aveva deliberato di assicurars­i a spese del bilancio provincial­e. Condanna successiva­mente annullata in appello. Perché nel frattempo il governo di Romano Prodi, con la legge finanziari­a approvata poche settimane prima delle dimissioni, aveva sì deciso di porre fine a quello sconcio stabilendo che «è nullo il contratto di assicurazi­one con il quale un ente pubblico assicuri propri amministra­tori per danni cagionati allo stato o a enti pubblici…», ma nella stessa norma prorogava la validità di quei contratti per altri sei mesi. Sanando così, implicitam­ente, tutte le polizze di quel genere stipulate in precedenza. Dal primo luglio 2008 è perciò in vigore il principio che un amministra­tore deve pagarsi la polizza di tasca propria. Ma se è illegale addossare allo stato il costo dell’assicurazi­one, adesso scopriamo che non lo sarebbe affatto fargli pagare addirittur­a il conto del danno.

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