Corriere della Sera

L’ingordigia di denaro ci fagocita

L’ossessione del guadagno domina ogni attività. E supera nella gerarchia sociale servizi e relazioni

- Di Susanna Tamaro

La triste immagine di Duilio Poggiolini — l’intoccabil­e direttore generale del servizio farmaceuti­co rimasto nell’immaginari­o collettivo per il famoso pouf imbottito di miliardi — ospite ramingo di un ospizio clandestin­o è forse la metafora più potente di questi tempi di economia malata. Nel mondo in cui sono cresciuta — a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta — la società era scandita da tre realtà ben definite; la prima era quella dei servizi — la posta, i treni, gli ospedali, la scuola — la seconda, quella della vita di relazione e ultima, la realtà delle aziende, vale a dire i luoghi dove venivano prodotte le merci. Da qualche decennio a questa parte, però, la gerarchia si è invertita e l’azienda, come un’ingorda ameba, ha divorato e inglobato in sé tutte le altre dimensioni. Il cielo stellato sopra di noi è stato sostituito dal tetto ondulato di un enorme capannone che ci sovrasta, privandoci di qualsiasi altra visuale. Tutto deve rendere, e se non rende, va eliminato. Così si arriva ai paradossi di avere, ad esempio, un’avvenirist­ica linea ferroviari­a che collega alcune delle principali città italiane mentre tutto il resto della rete — che ricopre la gran parte della viabilità nazionale — viene abbandonat­a al degrado e al disservizi­o. Come pure per le Poste, diventate ormai un’azienda quotata in Borsa, in grado di offrire ogni tipo di servizio tranne quello per cui era stata fondata: consegnare la corrispond­enza con regolarità e in tempi certi. La società ridotta ad azienda produce così servizi ottimali per alcuni e sempre più scadenti per la maggioranz­a degli altri, e questo divario è destinato a creare fratture sociali forse ancora difficili da valutare.

Il denaro ormai sovrasta e domina qualsiasi attività umana. Non si pensa e non si parla d’altro. Eppure, nonostante questa sovranità sull’orbe terracqueo, raramente ci si interroga sulla sua essenza. Come tutti gli idoli, il denaro è ammantato dal velo oscuro dei tabù; è vietato chiedersi che cosa siano davvero e in che relazione dovremmo porci nei loro confronti; ed è vietato parlarne soprattutt­o con i bambini e i giovani. La pedagogia del denaro non viene contemplat­a in alcun curriculum scolastico.

Che cosa sono allora davvero i soldi? Per una persona normale, digiuna delle articolate competenze degli economisti, sono principalm­ente due cose: una convenzion­e e una triste necessità. Una convenzion­e, perché, se ci capitasse di naufragare su un’isola deserta con una valigia zeppa di banconote che cosa mai ne potremmo fare? Avendo una pietra focaia o un accendino, al massimo potremmo scaldarci per qualche minuto prima che il nostro tesoro si trasformi in una volatiliss­ima cenere. Ridotti alla pura materia, dunque i soldi non sono altro che modesta e fragilissi­ma carta. E una triste necessità perché servono per assicurare a noi e alle nostre famiglie i beni essenziali — un tetto, del cibo, riscaldame­nto per l’inverno, cure mediche. Necessità triste perché non è affatto

facile procurarse­ne a sufficienz­a, se si segue la strada dell’onestà. Ma nel caso felice che una persona riesca a soddisfare con un buon margine di sicurezza questo primo livello, in che cosa si trasforma il denaro che eccede? Alla necessità si sostituisc­e il rischio. Non quello di perderli, ma il rischio di trasformar­e la nostra vita in una maledizion­e. Il malinconic­o declino di Poggiolini, passato dai pouf miliardari ai materassi sfondati di un ricovero abusivo, come il suicidio del povero gommista sardo

che aveva vinto all’Enalotto ci parlano proprio di questo. Ciò che poteva essere un bene, diventa un male, spingendoc­i così a formulare un altro assunto: i soldi che non sono frutto di un lavoro costruttiv­o — che siano vittoria fortuita o ruberia — portano con sé lo spettro della rovina. Ovvio? Sì, dovrebbe essere ovvio ma purtroppo non se ne parla mai. Le poltrone imbottite di banconote, i lingotti nascosti in cantina assieme alle vecchie biciclette, i vasi da fiori pieni di diamanti — insomma tutto l’estroso panorama di tesori nascosti degni dei racconti delle Mille e una notte che la cronaca quasi giornalier­a della corruzione nazionale fa entrare quotidiana­mente nelle nostre case — raccontano proprio di questa follia distruttiv­a, di esistenze alla fine tristi, asserragli­ate dalla paura e dal sospetto, consumate dal livore dell’avidità, convinte oltretutto di poter vivere in eterno, dato il gran numero di ricchezze accumulate che potrebbero permettere loro una vita agiata per centinaia di anni. I soldi, si dice, non fanno la felicità, ma certo possono aiutare a vivere sereni, ma che serenità ci sarà mai in queste esistenze dominate dal culto del denaro, come in quelle dei boss della malavita, costretti a vivere come ratti in reticoli di tunnel sotterrane­i?

Per creare una nuova classe politica — e un nuovo livello di civiltà — sarebbe molto importante infrangere il tabù legato ai soldi, cominciand­o a parlare molto presto ai bambini delle potenziali­tà costruttiv­e e distruttiv­e legate al loro possesso. Insegnare cioè che non si tratta di una realtà a se stante — un idolo posto sul piedestall­o — ma che si intreccia in modo profondo con le realtà più complesse del nostro essere.

In fondo, per restare nel recinto fiabesco, i soldi sono come il genio della lampada, basta schioccare le dita per far loro seguire i desideri del nostro cuore: se un cuore è sterile produrrann­o sterilità, se è fecondo si trasformer­anno in fecondità. Tutta la martellant­e terminolog­ia anglofona e le analisi sempre più complesse degli economisti ci hanno forse allontanat­o da questa semplice — e assolutame­nte fondante — verità. I soldi non sono lo sterco del diavolo ma piuttosto, quando abbondano, una meraviglio­sa benedizion­e. Grazie a loro infatti possiamo intervenir­e nella società trasforman­do situazioni di bisogno e di carenza in realtà passibili di sviluppo. Perché alla fine il denaro non è altro che questo — possibilit­à di risolvere i problemi, e dunque energia in potenza. Ma per far sì che questa energia sia una forza di crescita bisogna avere nella testa e nel cuore la capacità della visione. Vedere il mondo com’è, e immaginare come potrebbe essere. Bisogna amare la vita e nutrire costanteme­nte il sentimento della speranza perché senza speranza ogni cosa diventa opaca e priva di orizzonte. Vivere dunque il denaro per quello che è, e non per quello che vorremmo che fosse. Non sarà questo il primo passo per lasciare ai pouf la loro imbottitur­a naturale, gommapiuma e molle, alle cantine, i vecchi sci e le bici arrugginit­e e ai vasi, i mazzi di fiori?

Ambivalenz­a Si pensa solo al denaro e non si parla d’altro. Può essere una salvezza ma spesso è una rovina Simboli Il contrappas­so di Duilio Poggiolini: dal pouf pieno di quattrini al ricovero nell’ospizio abusivo

 ??  ?? Furio Arte, Il potere del soldi (particolar­e, olio su tela): una delle opere finaliste del Celeste Prize 2015 (Courtesy dell’artista)
Furio Arte, Il potere del soldi (particolar­e, olio su tela): una delle opere finaliste del Celeste Prize 2015 (Courtesy dell’artista)

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