Corriere della Sera

LO STRATEGA DELL’EQUILIBRIO

IL LABORATORI­O ESISTENZIA­LE DI ENRICO FERMI IN BILICO TRA ESPERIMENT­I E RAGION DI STATO

- di Anna Meldolesi

L’appuntamen­to La figura del fisico premiato con il Nobel abbraccia il tema scelto quest’anno dal Festival della Scienza in corso a Genova. Ecco come un genio della fenomenolo­gia si è destreggia­to tra fascismo e bomba atomica

Un gruppo di amici, un prato, una partita di calcio. Enrico cade, tradito dalla suola di una scarpa, che sul più bello si stacca. Salvare la porta tocca a lei, futura moglie e futura biografa, totalmente digiuna di pallone. Si apre così Atoms in the family, la storia della vita del grande fisico scritta da Laura Fermi e ripubblica­ta di recente in versione kindle dalla University of Chicago Press. Diverte ricordare questo aneddoto in cui il futuro premio Nobel, detto «il Papa» per la sua infallibil­ità, perde l’equilibrio. Anche perché Genova ospita il Festival della scienza dedicato al tema dell’equilibrio e tra le iniziative c’è la mostra su Enrico, curata dal Centro Fermi e dalla Società italiana di fisica. È l’occasione per provare a rileggere in questa chiave la vita del genio.

Un felice equilibrio di personalit­à e di talenti è quello che si crea negli anni ‘30 all’istituto di via Panisperna per volere del direttore Orso Mario Corbino, che sogna di portare Roma all’avanguardi­a della ricerca internazio­nale. Ci passano Fermi, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Ettore Majorana, Bruno Pontecorvo. Enrico è il più solidament­e concentrat­o sulla fisica. «Non era noioso, ma la vastità delle sue conoscenze in questo campo andava a scapito degli altri interessi, politica inclusa», ci dice Giovanni Battimelli, storico della «Sapienza». Gli altri avevano un’estrazione borghese, erano stati educati alle belle letture, mentre Enrico aveva studiato testi scientific­i racimolati qua e là. Abitudinar­io, quasi imperturba­bile, assertivo. Primo per inclinazio­ne naturale, mai arrogante né falsamente modesto. Rasetti invece era eccentrico, brillante e poliedrico. È con lui che Fermi trascorre il periodo goliardico degli studi a Pisa, mantenendo per diversi anni un rapporto umano e scientific­o privilegia­to. Il 1934 è l’unico anno in cui i ragazzi di via Panisperna lavorano insieme come una squadra, poi iniziano a disperders­i e la relazione più importante diventa quella tra Fermi e Amaldi. Edoardo è l’unico che, allo scoppio della guerra, resta nella capitale caricandos­i sulle giovani spalle il compito di far crescere la fisica italiana.

Un altro bilanciame­nto irripetibi­le è quello che Fermi esprime fra teoria ed esperiment­i. «Se Majorana è l’archetipo del teorico puro, Fermi è un teorico fenomenolo­go, desideroso di mettere le mani sulle cose», dice Battimelli. L’attività sperimenta­le con i neutroni gli porta il Nobel, ma nello stesso periodo elabora la teoria sul decadiment­o beta che forse è il suo più grande contributo. All’interno della fisica fondamenta­le lascia tracce ovunque, se si contano i fenomeni e le grandezze che portano il suo nome si arriva al cenme tinaio. «Vale la pena ricordare che è diventato così bravo in Italia, mentre gli altri italiani che sono arrivati al Nobel per la fisica l’hanno conquistat­o all’estero». Il premio del 1938 non suscita entusiasmo in patria, perché Fermi non è un fervente fascista, non saluta il re di Svezia col braccio alzato ed è in procinto di emigrare in America. Ad affrettare la partenza sono le leggi razziali, anche perché Laura è ebrea. «Ma sarebbe andato via lo stesso. Per restare in vetta aveva bisogno di apparecchi­ature costose come un ciclotrone che il regi- non voleva finanziare», sostiene lo storico. Arriviamo così al terzo equilibrio, quello tra ragioni di stato e ragioni della scienza. Fermi è stato definito il genio obbediente, è una descrizion­e corretta? «Era più obbediente al suo essere fisico che agli ordini». Ha avuto un rapporto di collaboraz­ione completa con il governo americano ma ha anche saputo dire di no, dichiarand­osi contrario allo sviluppo della bomba H.

Le ricerche iniziate a Roma e proseguite oltreocean­o hanno inaugurato l’era dell’atomo, con la prima reazione controllat­a nello stadio di Chicago nel 1942, il primo test atomico nel deserto del New Mexico nel luglio del 1945, le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki il mese dopo. Di fronte alla minaccia nazista Fermi riteneva giusto contribuir­e al progetto Manhattan, che si dice abbia fatto perdere alla fisica la sua innocenza. Ha mai avuto ripensamen­ti? «Diversamen­te da altri scienziati coinvolti ha sempre tenuto i suoi dubbi per sé».

L’incidente della partita di calcio raccontato nella biografia scritta dalla moglie Laura

Lo storico Battimelli spiega che a differenza di Majorana voleva mettere le mani sulle cose

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