Vantaggio da sfruttare pensando a Parigi
Se anche Greenpeace — con la quale negli anni scorsi il confronto non è stato tenero — ha riconosciuto il «cambiamento di rotta» dell’Enel sul fronte ambientalista, verrebbe da dire che la strada intrapresa sia quella buona. Greenpeace e gli altri paladini dell’ambiente, ad esempio, non hanno manifestato le stesse aperture di credito alle major petrolifere europee che di recente hanno ammesso che il cambiamento climatico è una realtà innegabile, e che il limite dei due gradi è condivisibile. Sotto questo profilo il gruppo di Francesco Starace gode di diverse lunghezze di vantaggio, visto che si è messo da tempo su un percorso che ha fissato come paletti lo sviluppo delle energie rinnovabili, delle reti intelligenti e dell’efficienza energetica. Gli impegni di diventare «carbon neutral» prima del 2050 e di tagliare del 18% le emissioni di CO2 entro il 2020 (sul 2007) sono probabilmente migliorabili, ma da essi non si torna indietro. E poi sono misurabili, il che significa che sul tavolo si è messo anche il proprio patrimonio di credibilità. L’obiettivo più difficile resterà quello di fissare un prezzo, un valore economico riconosciuto, alla tonnellata di CO2: il cosiddetto «carbon pricing» sarà forse «la» questione su cui verterà il vertice sul clima di Parigi. Certo, a decidere saranno i «policy maker» e non i gruppi privati come l’Enel, che pure ha ammesso la sua necessità. Ma se questa è la direzione (e il mix di produzione elettrica dell’Enel ancora sbilanciato sul carbone non potrà non tenerne conto) il gruppo di Starace ha davanti una nuova sfida: sfruttare quelle lunghezze di vantaggio per mettere a punto una leadership industriale ed economica. Che può tornare utile a tutto il sistema Italia.
@stefanoagnoli