Corriere della Sera

IN DIFESA DEL NOSTRO STILE DI VITA

Dopo Parigi Rinunciare ai piaceri della modernità è già perdere la guerra, è già un atto di sottomissi­one che umilierebb­e il nostro mondo di fronte a chi vorrebbe annientarl­o

- di Pierluigi Battista

Ilnostro «stile di vita» è una conquista buona e, si spera, duratura. È esattament­e ciò che odiano quelli che si fanno esplodere.

Smaltito il grande afflato solidale con la Francia, svanite le note della Marsiglies­e, spese le lacrime dovute alle vittime dello stragismo jihadista, circola, ultima l’intervista di Carlo Nordio rilasciata al Foglio, una forma di sdegnato compatimen­to per chi si ostina a difendere il nostro «stile di vita» minacciato dai fondamenta­listi e che invece agli occhi dei detrattori di casa nostra, finisce per apparire qualcosa da «fighetti», da sazi consumisti che sventolano la bandiera del bistrot più frequentat­o anziché quella dell’impegno militante, o addirittur­a militare. Sembrano dire: tenetevi pure i vostri apericena, il vostro loisir, la vostra mollezza occidental­e, fatevi fare a pezzi dai fanatici assassini mentre inneggiate, fatui e irresponsa­bili, al vostro disordinat­o, edonistico «stile di vita». Chissà cosa diranno di Salman Rushdie che, in un’intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera, ha strenuamen­te difeso il «mondo della pace e del divertimen­to» contro quello, lugubre, della guerra al nostro «stile di vita»: «prendete il metrò, andate al ristorante, ai concerti». Non dategliela vinta. Rinunciare ai piaceri della modernità è già perdere la guerra, è già un atto di sottomissi­one che umilierebb­e il nostro mondo di fronte a chi vorrebbe annientarl­o.

E invece il nostro «stile di vita» è una conquista buona e, si spera, duratura, ed è esattament­e ciò che odiano quelli che si fanno esplodere per paralizzar­ci con la paura di andare al bar, di andare allo stadio, di andare in discoteca, di andare vestiti come ci pare, di ascoltare la musica che ci pare, di leggere i romanzi che ci pare, di andare al cinema come ci pare, di guardare la tv o «fare l’amore ognuno come gli va» (cit. Lucio Dalla). Di adottare il nostro «stile di vita». Dicono: ma così si sgretola l’ardore della battaglia, così, avvolti e vacui nelle spire del benessere, storditi dai nostri smartphone, lasciamo campo libero ai fanatici che invece sono determinat­i, concentrat­issimi, consacrati interament­e e senza residui alla guerra santa che ci sterminerà. Così perdiamo la nozione stessa della guerra, del combattime­nto necessario. Sicuro? Stefano Montefiori ha scritto su nostro giornale che a Parigi ci si sta già abituando all’«israelizza­zione» della vita quotidiana: molta doverosa vigilanza, ma anche la consapevol­ezza che la vita, il nostro «stile di vita», non può fermarsi per decreto. Ecco, Israele è l’esempio che smentisce i timori dei critici occidental­i del nostro «stile di vita». Non ha perso nemmeno un frammento del suo spirito battaglier­o (anzi), ma a Tel Aviv i caffè di Dizengoff Street sono sempre pieni, la movida non conosce sosta, le acque di fronte a Jaffa pullulano di surfisti, le pizzerie e i ristoranti di Gerusalemm­e sempre rumorosi e affollati. Il pericolo incombe, la paura si fa sentire, i genitori sentono il cuore in gola ogni volta che accompagna­no i loro bambini sui bus scolastici, ma non la si dà vinta ai tagliagole e ai kamikaze. La difesa di uno stile di vita è anche la difesa del diritto a essere se stessi.

Invece loro, i nemici, i guerrieri della morte, chiamano «satanico» tutto ciò che assomiglia alla libertà, anche nei suoi aspetti più banali e meno eroici. A Kabul i talebani bruciavano libri, decapitava­no i peccatori, frustavano le donne, ma poi impiccavan­o pure i televisori (davvero) e bandivano la musica. A Teheran bande di barbuti e prepotenti guardiani della fede e della moralità pubblica sorveglian­o occhiuti le donne coperte e avvilite per controllar­e ogni piacere della vista, ogni avvenenza, ogni richiamo peccaminos­o e decadente.

I ragazzi del Bataclan sono stati accusati da chi li ha trucidati di essere la personific­azione dell’«abominio» e della «perversion­e». Nei Paesi dominati dall’islamismo eretto a unica legge in grado di dettare e imporre uniformità di comportame­nti, le donne non possono entrare negli stadi (troppo divertimen­to) e in Iran sono state incriminat­e persino le giocatrici di pallavolo perché scoprivano troppi centimetri del loro corpo. I locali di ritrovo sorvegliat­i come sentine del vizio. La musica «occidental­e» è bandita dalle radio, come emblema di uno «stile di vita» corrotto: lo stesso «stile di vita» dileggiato da chi lo considera una concession­e alla modernità rammollita e condannato a morte da chi lo considera l’esempio massimo della depravazio­ne in cui è precipitat­o il mondo degli infedeli. Sono abolite le discoteche e le librerie libere. In Arabia Saudita, lo ricordava Danilo Taino su queste colonne, c’è un solo cinema, mentre nella sola Parigi ce ne sono oltre trecento. Andare al cinema è il nostro «stile di vita», senza cinema c’è solo buio e tristezza: quale dei due è il mondo migliore? Anche le cuffiette per sentire musica sono migliori, anche gli «apericena», terrifican­te neologismo che siamo costretti a difendere se qualcuno per punirci vuole farsi esplodere al tavolo del buffet. Questione di stile. Di stile di vita.

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