Corriere della Sera

LE TIMIDEZZE DEI MAGISTRATI

Se non si abbandona la linea morbida il rischio è rendere troppo poco efficace la lotta contro i militanti della jihad Oggi le toghe non riconoscon­o più quel ruolo della politica che fu importante negli Anni 70

- Di Angelo Panebianco

Risorsa o anello debole? La magistratu­ra aiuterà il Paese applicando con energia i propri strumenti repressivi nella guerra di difesa dal terrorismo islamico in cui siamo stati trascinati al pari degli altri occidental­i? O si rivelerà la parte più debole della diga che si cerca di erigere contro i violenti?

Alcuni dei presunti jihadisti arrestati a Merano dai carabinier­i in un blitz contro l’estremismo islamico pochi giorni prima della strage di Parigi, sono già in libertà. Il gip non ha rilevato sufficient­i indizi per convalidar­e l’arresto. Il giudice conosce le carte e noi no. Forse ha ragione. I precedenti però non sono incoraggia­nti.

Giovanni Bianconi, in diversi articoli apparsi sul Corriere, ha documentat­o quanto fossero pericolosi i quattro estremisti islamici residenti a Bologna e espulsi dal ministero dell’Interno dopo che il gip non aveva convalidat­o gli arresti disposti dalla Procura. Nel computer di uno di loro ( Corriere di mercoledì) c’era, insieme a predicazio­ni jihadiste, un manuale con istruzioni per la guerriglia urbana.

Il Foglio della settimana scorsa ha evocato un’inquietant­e connession­e fra la strage di Parigi e l’Italia. L’indottrina­tore dei terroristi di Parigi, Bassam Ayachi, arrestato nel 2008 a Bari per organizzaz­ione di immigrazio­ne clandestin­a, poi accusato di terrorismo per via di una telefonata in carcere in cui si progettava un attentato, e condannato a otto anni, venne dapprima inspiegabi­lmente rilasciato e poi assolto in Appello. I giudici lasciarono libero di andarsene in giro un black mamba, un serpente velenosiss­imo e mortale.

Nel settembre del 2014 il settimanal­e L’Espresso fece un’inchiesta sugli ormai troppi casi di jihadisti, accusati di terrorismo internazio­nale, passati per le mani della giustizia italiana e assolti o comunque lasciati liberi di continuare altrove la loro mortale attività. Per esempio, accadeva che certi giudici fossero disposti a riconoscer­e come «opinioni», libere manifestaz­ione del pensiero, non perseguibi­li, i proclami jihadisti (sgozziamo tutti gli infedeli, e simili).

Ma il punto è che quei proclami non erano «opinioni», erano atti di guerra, anelli di una catena di azioni che portavano (e portano) all’assassinio di persone inermi. L’avvocato ha il diritto di dire che un proclama jihadista è una libera opinione. Ma c’è un problema se il giudice ci crede. Il proclama jihadista non è un’opinione e il jihadista non è un qualunque cittadino: è il soldato di una guerra santa globale, parte di una comunità di combattent­i che pensa di agire in nome di Dio. Chi crede che sia «illiberale» perseguire un jihadista che promette morte e distruzion­e non sa nulla di liberalism­o. Non è per niente liberale dire che non abbiamo il diritto di difenderci da chi dichiara di volerci colpire, essendo la libertà dall’assassinio la prima libertà, senza la quale nessun’altra libertà è possibile.

Magari, le inchieste di stampa hanno registrato solo una serie (piuttosto lunga) di «infortuni». Magari, un’analisi più sistematic­a potrebbe mostrare un quadro diverso. L’impression­e però è che non sia (ancora?) così.

Ci sono due possibili obiezioni a quanto qui sostenuto. La prima è debole, la seconda è vera solo a metà. L’obiezione debole è quella secondo cui, così come la magistratu­ra fece la sua parte all’epoca delle Brigate Rosse (anni Settanta), non c’è motivo di credere che — sbandament­i iniziali a parte — non la farà contro il terrorismo islamico.

Le situazioni sono diverse. Non c’è solo la differenza fra terrorismo nazionale e terrorismo transazion­ale, molto più sfuggente. C’è, soprattutt­o, il diverso ruolo della magistratu­ra. All’epoca del terrorismo italico, essa accettava il primato della politica o, se si preferisce, era al guinzaglio dei partiti. La parte meno raccontata della vicenda del terrorismo brigatista riguardò la sotterrane­a competizio­ne fra il Pci e la Dc. Il Pci che aveva assunto posizioni dure (per via dell’«album di famiglia») contro i brigatisti, sostenne con forza l’azione antiterror­ismo della magistratu­ra riuscendo così a scalzare la Dc come suo principale «partito di riferiment­o » . In ogni caso, c’erano partiti forti e i magistrati ne seguivano le indicazion­i.

I partiti di allora non ci sono più e la magistratu­ra non riconosce più il primato alla politica. Si considera al servizio della sola Costituzio­ne. Tradotto, significa che le indicazion­i che vengono dalla politica saranno accettate solo se i magistrati le condividon­o. Il governo può benissimo varare misure dure contro il terrorismo, rafforzare polizia e intelligen­ce, eccetera, ma se poi certi magistrati non le approvano possono vanificarn­e il lavoro. Il rischio è che si continui come oggi, con i magistrati in ordine sparso: alcuni scelgono il rigore, altri l’opposto. Con l’effetto finale di rendere inefficace l’azione di contrasto. Come sempre, il confine è sottile: dove comincia l’ingerenza che attenta alla libertà del magistrato e dove finisce la legittima aspettativ­a che la magistratu­ra remi nella stessa direzione di chi cerca di bloccare una minaccia mortale?

La seconda obiezione è solo una mezza verità. C’è chi dice: tutto dipende dalle leggi, se sono sbagliate l’azione dei magistrati ne risente. È vero ma solo fino a un certo punto. Possono esserci certamente leggi inadeguate. Ma le leggi non sono tutto. Contano anche le prassi giudiziari­e, le quali possono piegare le leggi in una direzione o nell’altra a seconda degli orientamen­ti della magistratu­ra.

Gli atteggiame­nti «morbidi» documentat­i dalla stampa sono cosa del passato? Il salto di qualità fatto dal terrorismo obbligherà anche certi magistrati a rimodulare orientamen­ti e pratiche? I « machiavell­ici » (che non hanno mai letto Machiavell­i) pensano che sia un bene se quella rimodulazi­one non ci sarà, se gli atteggiame­nti «morbidi» non verranno abbandonat­i. Magari è questa la ragione per cui, pensano i machiavell­ici, nessun attentato serio ha ancora colpito il nostro Paese. A parte il rischio che altri governi europei giungano alle stesse conclusion­i accusandoc­i così di doppio gioco, per quanto tempo una simile immunità potrebbe durare?

Risorsa o anello debole. Al momento, è difficile stabilire che cosa sarà la magistratu­ra, nel suo complesso, nelle prossime fasi di questa guerra difensiva.

Allarme Pericoloso pensare che sia illiberale perseguire chi promette morte e distruzion­e Difesa È molto importante trovare un modo per remare tutti nella stessa direzione

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