Corriere della Sera

Lamy: «Migliorare la nostra sicurezza senza il filo spinato»

- di Paolo Valentino

Siamo di fronte a qualcosa di organizzat­o, costruito, che si ripete e quindi assomiglia sempre di più a una guerra

La via di Ankara

«La risposta dell’Europa all’estremismo islamico ha una dimensione emotiva, ma non per questo non può non essere razionale. Ho indicato tre campi: primo, la cooperazio­ne fra le polizie e i servizi d’intelligen­ce senza dover cambiare istituzion­i o creare nuovi strumenti. Secondo, la protezione delle frontiere esterne dell’Europa. E infine, la politica estera e di sicurezza dell’Ue, ancora a livello embrionale. Su questi temi, occorre passare a un livello superiore di solidariet­à concreta».

Pochi in Europa hanno legato il loro nome all’integrazio­ne comunitari­a come il francese Pascal Lamy. E pochi europei hanno come lui occupato tante posizioni di prestigio nelle istituzion­i internazio­nali: capo dello staff di Jacques Delors alla Commission­e, egli stesso commissari­o europeo con Romano Prodi, direttore della Wto. A Roma Lamy ha partecipat­o al dibattito su «L’Europa nell’ordine mondiale», organizzat­o dall’Ispi, in occasione del conferimen­to a Giorgio Napolitano del premio Kissinger 2015.

Il presidente Hollande ha detto che siamo in guerra. Solo la Francia o l’Europa?

«Ha l’apparenza di una guerra, per quanto asimmetric­a: c’è un nemico che ci punta, ma che noi abbiamo qualche difficoltà a puntare. Siamo di fronte a qualcosa di ben organizzat­o, costruito, pensato, che si ripete e quindi assomiglia sempre di più a una guerra. Dunque la minaccia alle nostre vite e al nostro sistema non riguarda solo la Francia e i francesi. Da cui l’appello all’articolo 42.7 del Trattato, che significa che al momento del bisogno di uno dei partner, gli altri Stati membri sono tenuti e prestargli aiuto e assistenza».

Ma sul piano concreto non c’è molto di più...

« Per questo ho fatto tre esempi. C’è da migliorare la condivisio­ne delle informazio­ni fra intelligen­ce. Non lo fanno per mancanza di fiducia».

Rinunciare a Schengen?

«Schengen e la libera circolazio­ne non sono il problema, a meno di immaginare il filo spinato alle frontiere interne. Schengen ha tutte le flessibili­tà, compresa quella di ripristina­re i controlli alle frontiere se necessario. Oggi non abbiamo ancora impegnato i mezzi politici e le risorse per amministra­re la frontiera esterna».

Dopo Parigi, alcuni hanno suggerito il nesso tra immigrati e terroristi. Con quali argomenti si convince l’ opinione pubblica che è un’equazione falsa?

« Ci sono due narrative. Quella dei populisti di estrema destra: i terroristi arrivano con gli immigrati e il loro numero è proporzion­ale a quello di musulmani e arabi presenti nelle nostre nazioni. L’assimilazi­one terrorista-musulmano-immigratoè veicolata dai partiti di destra. Argomento bugiardo e tossico. Tutti o quasi i terroristi hanno la nazionalit­à dei nostri Paesi. Occorre far conoscere le cifre e difendere posizioni basate sui valori». Che fare con la Turchia? «Sul piano dei valori, la Turchia odierna non è sintonizza­ta sullo stesso software di 10 anni fa, quando era molto più compatibil­e con il sistema di valori europeo. Dobbiamo conviverci, in una relazione che non è più quella con un Paese sulla strada dell’integrazio­ne. Ne abbiamo bisogno per gestire i due milioni di rifugiati che ospita. Ma dobbiamo aver presente che su molti temi non siamo d’accordo: questione curda, Iran, Israele».

Vivremo in una società meno libera ma più sicura?

«L’equilibrio tra libertà e sicurezza necessita di tutte le precauzion­i. Ma prendiamo il trasporto aereo: i dati sui passeggeri delle compagnie non sono accessibil­i alle polizie. Serve un compromess­o: è una piccola invasione della mia libertà privata, ma è un arbitraggi­o che sono pronto ad accettare. Poi, la sicurezza è un problema di cultura collettiva, di coscienza delle persone. La distanza tra le nostre libertà e un livello superiore di protezione deve essere coperto in parte con l’individual­izzazione dei comportame­nti di sicurezza».

L’ex direttore del Wto: «La Turchia non è più un Paese sulla strada dell’integrazio­ne»

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Francese Pascal Lamy, 68 anni, è stato capo dello staff di Jacques Delors alla Commission­e europea e commissari­o. Ha guidato la Wto

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