Corriere della Sera

Se la nostra vita è tutta in un piatto

In libreria la nuova edizione di «Racconti di cucina». Novanta ricette: dai grandi classici ai sapori internazio­nali. E un capitolo inedito dedicato al «cibo da bambini»

- di Aldo Cazzullo

Quando Angela Frenda ci disse che avrebbe lasciato il racconto della politica per occuparsi di food, insomma di cibo, noi che leggevamo i suoi ritratti dei protagonis­ti della vita pubblica italiana — e in particolar­e napoletana —, scritti con una malizia cui solo la dolcezza dell’autrice impediva di sconfinare nella perfidia, pensammo che fosse impazzita. Non sapevamo che Angela stava sempliceme­nte cambiando il registro, il linguaggio, il modo di raccontare il Paese, e in particolar­e Napoli. È lei stessa, in questo libro appena pubblicato da Rizzoli ( Racconti di cucina. Le

90 ricette perfette della cucina di casa), a spiegare com’è cominciata. Stava scrivendo della sfida alle primarie tra Bersani e Renzi, quando la collega Elvira Serra entrò in redazione a proporle di girare una videoricet­ta. Lei reagì in modo istintivo: «Non se ne parla proprio». Ma il caporedatt­ore insistette, il marito la convinse; e così Angela spiegò davanti a una telecamera come sua nonna — anche lei Angela, ovviamente — preparava gli spaghetti di Natale. È iniziata così, in un set improvvisa­to in casa con lo scotch a tirare su il lampadario per non rovinare l’inquadratu­ra, la web serie ora divenuta familiare a buona parte del pubblico del sistema Corriere, che ormai non è solo un giornale. Il libro nasce da lì.

Non soltanto una raccolta di ricette; racconti da leggere prima di addormenta­rsi. «Non sono una chef, al massimo una cuoca di casa — scrive Angela —. Quando cucino penso solo a replicare quel sapore che porto nella mia memoria». Noi nati tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio degli Anni Settanta, se ripensiamo alle nostre nonne, le rivediamo in cucina. L’autrice ha gli stessi ricordi: le nostre nonne cucinavano tutto il giorno. Il cibo era un’ossessione, perché l’Italia aveva ancora memoria della fame, e la prima preoccupaz­ione di una persona anziana era che i suoi nipoti la fame non sapessero mai cosa fosse. Era un’Italia non ancora omologata dalla pubblicità televisiva, e le cucine piemontesi in cui sono cresciuto — ignoti gli spaghetti e i maccheroni, la pasta non si faceva con il grano ma con l’uovo: tajarin, agnolotti, cappellett­i… — erano molto diverse da quelle napoletane evocate nel libro. Oltre agli spaghetti, la specialità di nonna Angela erano le salsicce con i friarielli, che al Nord non sapevamo neppure cosa fossero. L’altra nonna dell’autrice si chiamava Olga, e la domenica preparava i cannelloni. A Pasqua, per entrambe, la pastiera, «rigorosame­nte col grano non passato». E il babà: la Frenda racconta con orgoglio di quando il figlio «milanese», Giovanni, a due anni e mezzo «non si facesse attrarre da gusti facili come il bigné al cioccolato o il cannolo con la panna, ma puntasse dritto e sicuro verso il babà semplice. E da lì non si schioda».

È vero quel che scrive Angela: i piatti scandivano la vita. A casa nostra avevamo un menu fisso, che si ripeteva ogni giorno della settimana: su 14 pasti nessuno era uguale all’altro, ma sempre quelli erano, e la base era la carne della macelleria di famiglia; non il filetto o la bistecca, che erano per i clienti, ma la lingua e la trippa. La mamma di Angela preparava invece il tortino di alici, «il suo trucco per farci mangiare il pesce»; mentre il riso e verza era il modo di far mangiare ai bambini la verdura, meglio se insaporita con la pancetta croccante. E poi la parmigiana di melanzane (fritte, non arrostite; e come contorno, non come piatto unico). I fiori di zucca ripieni di mozzarella. I peperoni al forno imbottiti, cioè farciti con mollica di pane, olive nere, capperi, acciughe, pinoli, uva passa, e poi volendo melanzane o carne trita.

Le manfredine al ragù (il piatto eduardiano con cui l’autrice è fotografat­a in copertina). E la spigola all’acqua pazza — «da piccola mi chiedevo sempre: chi avrà fatto impazzire l’acqua? La spigola? La mamma? Non ho mai ricevuto risposta» — da cuocere fino a quando il pesce non avrà «l’occhio bianco», vale a dire dopo 15, al massimo 20 minuti. Come dessert, la coviglia, «a metà strada tra un gelato e un pasticcino». Infine, il caffè napoletano. «Non è il caffè per una mattina qualunque — scrive la Frenda —. Affronto il rituale quando mi viene voglia, davvero, di recuperare un pezzo della mia napoletani­tà. Seguendo poche, ma rigide regole». Non pressare la polvere, altrimenti il caffè sarà troppo amaro. Lasciare mezzo centimetro tra l’acqua e il forellino d’uscita. Mettere la caffettier­a sul fornello a fiamma bassa. Al momento giusto, «voltate la caffettier­a a testa in giù, con un gesto deciso; così l’acqua bollente colerà attraverso il serbatoio con la polvere, producendo un caffè aromatico ma dal corpo leggero…». Ci sarebbe poi un piccolo, decisivo accorgimen­to, suggerito da Eduardo in Questi fantasmi; ma per saperlo dovrete andare a teatro, o leggere sino in fondo i Racconti di cucina.

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Novanta ricette della cucina di casa, inclusi dieci piatti per bambini: il libro Racconti di cucina di Angela Frenda (Rizzoli) si trova in libreria

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