Corriere della Sera

Ferrovie, si dimette tutto il consiglio

Il Tesoro accelera sulla privatizza­zione. Il nuovo board all’inizio della settimana Per la succession­e i nomi di Mazzoncini e Giordani. Bersani (Pd): si rischia il pasticcio

- Andrea Ducci

L’innesco del governo per il ricambio al vertice di Ferrovie sortisce l’effetto previsto. Ieri il consiglio di amministra­zione si è dimesso, azzerando la guida del gruppo ferroviari­o. A poco sono servite le obiezioni dell’amministra­tore delegato Michele Elia che, la settimana scorsa, all’indomani della convocazio­ne da parte del premier Matteo Renzi, aveva provato ad argomentar­e rivendican­do la bontà dei risultati economici ottenuti sotto la sua gestione. La riunione del board di ieri, in calendario da tempo, è apparsa subito l’occasione per registrare che a Palazzo Chigi era venuta a mancare la necessaria fiducia nei confronti del management. A Elia (in azienda dal 1975) e al presidente, Marcello Messori, è stata contestata la scarsa coesione sul progetto di privatizza­zione. Divergenze che hanno spinto il governo a cambiare passo, interrompe­ndo un mandato a metà corsa, e puntare su un nuovo vertice in vista della quotazione in Borsa, fissata da un decreto varato lunedì scorso.

L’intenzione del governo, tramite il ministero dell’Economia azionista al 100%, è ora di procedere spediti. La convocazio­ne dell’assemblea per l’inizio della prossima settimana sarà il passaggio tecnico per nominare i nuovi amministra­tori. Un consiglio nuovo di zecca, sulla falsa riga di quanto già avvenuto in Cdp. Per la succession­e il nome è quello di Renato Mazzoncini, ingegnere elettrotec­nico, classe 1968. Almeno un paio le caratteris­tiche che ne fanno il candidato forte. Mazzoncini è già all’interno della galassia Ferrovie con l’incarico di amministra­tore delegato della controllat­a BusItaliaS­ita Nord (trasporti su gomma). Il secondo dato discende dall’essere organico al premier da quando, nel 2012, a Firenze (il sindaco era Renzi) ha curato l’acquisto dal comune della municipali­zzata Ataf. A fianco di Mazzoncini sarà indicato un nuovo presidente: uno dei profili accreditat­i di buone chance riconduce a Simonetta Giordani, fino a ieri in consiglio di Ferrovie ed ex sottosegre­tario ai Beni Culturali. Al nuovo tandem spetterà il compito di bruciare le tappe e condurre in borsa l’azienda entro il primo semestre del 2016. Due le principali incognite. A partire dal perimetro degli asset che il governo intende aprire al capitale privato. Il nodo politico è quello indicato dal ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, ricordando che serve ancora tempo per decidere se scorporare, o meno, la rete ferroviari­a di Rfi dal gruppo destinato alla borsa. L’altra incognita è correlata alla prima, il valore dell’operazione. Al di là degli innumerevo­li esercizi sul prezzo di Ferrovie, il punto di partenza è indicato nel decreto di privatizza­zione: il Tesoro possiede 36,34 miliardi di azioni ordinarie del valore nominale unitario di 1 euro. Si parte insomma da 36,3 miliardi di euro per il 100% del capitale. E in Borsa finirà al massimo il 40% di un gruppo che fattura 8,4 miliardi e muove 8 mila treni al giorno. Da mesi sono già al lavoro per conto del Tesoro l’advisor finanziari­o Bofa Merrill Lynch e i legali di Cleary Gottlieb.

Lo scossone al vertice di Ferrovie ha generato più di un malumore. Sul versante politico tra i più tranchant, spiegando che «si rischia un pasticcio», è l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani. «Quel che succede alle Ferrovie non è una cosa chiara. Un conto sono la riforma e la liberalizz­azione del settore, altro è il piano industrial­e dell’azienda pubblica, e altro conto il processo di privatizza­zione», lamenta. L’azzerament­o di ieri apre anche il fronte sindacale. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso si dice «molto preoccupat­a per l’idea di fare cassa su una grande impresa pubblica». Giovanni Luciano, segretario generale di Fit Cisl, sottolinea: «si mette a rischio un’impresa solida per entrate economiche ipotetiche e incerte».

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