TERRITORIO DA RICUCIRE
DOPO ANNI DI DEVASTAZIONI DEL PAESAGGIO IL NUOVO RUOLO (SOCIALE) DELL’ARCHITETTO
L’appuntamento Alla Triennale la mostra «Comunità Italia» sul legame tra il progetto e la vita quotidiana. Oggi più necessario che mai: il patrimonio di saperi cresciuto intorno a questo mondo serve a ricomporre la città. E le sue vite
Partiamo da una premessa necessaria: l’Italia non è mai cambiata tanto e così rapidamente come nella seconda metà del secolo appena terminato. Le città hanno moltiplicato di sei, sette volte la propria superficie; almeno undici milioni di abitanti sono emigrati dalla propria terra d’origine; le coste sono state devastate da un processo di cementificazione senza eguali; la struttura sociale e produttiva è profondamente cambiata modificando di conseguenza il suo paesaggio; il consumo di territorio e di risorse naturali ha vissuto picchi estremi che hanno trasformato il nostro «Bel Paese» in un colabrodo ambientale.
All’interno di questo scenario in costante e instabile trasformazione l’architettura italiana, a tutti i suoi livelli, è stata chiamata a dare forma abitabile a un mondo che stava cambiando, esprimendo desideri spesso contraddittori e figli di una modernità immatura.
Comunità Italia, la mostra curata da Alberto Ferlenga e Marco Biraghi appena inaugurata presso la Triennale di Milano, rappresenta un interessante tentativo di avviare una rilettura critica di uno dei periodi più difficili e complessi della nostra cultura architettonica.
La critica tradizionale ha cercato di riportare questi decenni tortuosi a categorie linguistiche rassicuranti come se il Paese in cui l’architettura italiana stava operando fosse solo uno sfondo lontano. Ma ogni costruzione storiografica dimostra i propri limiti quando si scontra con un’immagine dell’Italia reale sempre più problematica, offrendoci per contro un’idea della nostra architettura come di un fenomeno isolato politicamente e minoritario rispetto alle grandi trasformazioni in atto.
È vero che con la fine del fascismo l’architettura italiana perde quelle centralità figurativa e simbolica che il regime le aveva garantito per almeno vent’anni. Mentre la nuova Repubblica come naturale reazione si ritira da questo campo cancellando ogni possibile discussione sull’idea di un’architettura nazionale capace di rappresentare una nuova stagione politica e sociale. Lo Stato non avvia una politica industriale unitaria nel campo dell’edilizia e dei lavori pubblici prediligendo il mondo delle piccole e medie imprese che avrebbe garantito la ripresa dell’occupazione su scala nazionale.
L’Italia dei campanili e dei territori ritorna con forza, offrendo al mondo della progettazione un sistema frammentario di contesti culturali ed economici con cui confrontarsi. A differenza di Paesi come la Francia, l’Inghilterra e tutto il nord Europa in cui sembra prevalere un linguaggio della modernità ripensato partendo dall’esperienza dei Maestri e delle avanguardie storiche, l’Italia invece ha la capacità di generare decine di esperienze progettuali differenti, accomunate da un ideale fidi
Contraddizioni La cementificazione della penisola deve convivere con alcuni tra i migliori ingegneri del mondo
liazione al Movimento Moderno, ma poi distanti tra di loro nei linguaggi, riferimenti e scelte. L’Italia e la sua architettura dimostrano una straordinaria anomalia culturale e creativa che corrisponde in pieno all’anomalia della sua giovane modernità. Diventa quindi necessario imparare a far convivere l’Italia del consumo territoriale con un primato intellettuale fatto di editori, riviste e libri fondamentali; la produzione di beni di consumo e la fame sociale di modernità con la nascita del design contemporaneo e del progetto domestico; la cementificazione del paesaggio con alcuni tra i migliori ingegneri del mondo; il mondo delle villette geometrili con un’architettura elegante, urbana e spesso sofisticata; l’emergere di una diffusa cultura di massa con la nascita della pubblicità e della grafica.
Il punto di partenza di questa mostra milanese è interessante perché punta a un’immagine inaspettata, pensa a un mondo fatto di forti individualità e di un diffuso individualismo. La «comunità degli architetti» è vista invece come la capacità della nostra architettura di radicarsi nei diversi territori interpretandoli spesso con originalità e capacità di ascolto, opponendo forme di realismo e visioni a una realtà che si consumava sotto la spinta di un processo di modernizzazione mal controllato.
Insieme, l’idea di comunità diventa un richiamo per un tempo presente in cui l’architetto torni a essere quella figura necessaria alla costruzione di una qualità civile diffusa in un territorio in cerca di redenzione.