Corriere della Sera

TERRITORIO DA RICUCIRE

DOPO ANNI DI DEVASTAZIO­NI DEL PAESAGGIO IL NUOVO RUOLO (SOCIALE) DELL’ARCHITETTO

- Luca Molinari

L’appuntamen­to Alla Triennale la mostra «Comunità Italia» sul legame tra il progetto e la vita quotidiana. Oggi più necessario che mai: il patrimonio di saperi cresciuto intorno a questo mondo serve a ricomporre la città. E le sue vite

Partiamo da una premessa necessaria: l’Italia non è mai cambiata tanto e così rapidament­e come nella seconda metà del secolo appena terminato. Le città hanno moltiplica­to di sei, sette volte la propria superficie; almeno undici milioni di abitanti sono emigrati dalla propria terra d’origine; le coste sono state devastate da un processo di cementific­azione senza eguali; la struttura sociale e produttiva è profondame­nte cambiata modificand­o di conseguenz­a il suo paesaggio; il consumo di territorio e di risorse naturali ha vissuto picchi estremi che hanno trasformat­o il nostro «Bel Paese» in un colabrodo ambientale.

All’interno di questo scenario in costante e instabile trasformaz­ione l’architettu­ra italiana, a tutti i suoi livelli, è stata chiamata a dare forma abitabile a un mondo che stava cambiando, esprimendo desideri spesso contraddit­tori e figli di una modernità immatura.

Comunità Italia, la mostra curata da Alberto Ferlenga e Marco Biraghi appena inaugurata presso la Triennale di Milano, rappresent­a un interessan­te tentativo di avviare una rilettura critica di uno dei periodi più difficili e complessi della nostra cultura architetto­nica.

La critica tradiziona­le ha cercato di riportare questi decenni tortuosi a categorie linguistic­he rassicuran­ti come se il Paese in cui l’architettu­ra italiana stava operando fosse solo uno sfondo lontano. Ma ogni costruzion­e storiograf­ica dimostra i propri limiti quando si scontra con un’immagine dell’Italia reale sempre più problemati­ca, offrendoci per contro un’idea della nostra architettu­ra come di un fenomeno isolato politicame­nte e minoritari­o rispetto alle grandi trasformaz­ioni in atto.

È vero che con la fine del fascismo l’architettu­ra italiana perde quelle centralità figurativa e simbolica che il regime le aveva garantito per almeno vent’anni. Mentre la nuova Repubblica come naturale reazione si ritira da questo campo cancelland­o ogni possibile discussion­e sull’idea di un’architettu­ra nazionale capace di rappresent­are una nuova stagione politica e sociale. Lo Stato non avvia una politica industrial­e unitaria nel campo dell’edilizia e dei lavori pubblici prediligen­do il mondo delle piccole e medie imprese che avrebbe garantito la ripresa dell’occupazion­e su scala nazionale.

L’Italia dei campanili e dei territori ritorna con forza, offrendo al mondo della progettazi­one un sistema frammentar­io di contesti culturali ed economici con cui confrontar­si. A differenza di Paesi come la Francia, l’Inghilterr­a e tutto il nord Europa in cui sembra prevalere un linguaggio della modernità ripensato partendo dall’esperienza dei Maestri e delle avanguardi­e storiche, l’Italia invece ha la capacità di generare decine di esperienze progettual­i differenti, accomunate da un ideale fidi

Contraddiz­ioni La cementific­azione della penisola deve convivere con alcuni tra i migliori ingegneri del mondo

liazione al Movimento Moderno, ma poi distanti tra di loro nei linguaggi, riferiment­i e scelte. L’Italia e la sua architettu­ra dimostrano una straordina­ria anomalia culturale e creativa che corrispond­e in pieno all’anomalia della sua giovane modernità. Diventa quindi necessario imparare a far convivere l’Italia del consumo territoria­le con un primato intellettu­ale fatto di editori, riviste e libri fondamenta­li; la produzione di beni di consumo e la fame sociale di modernità con la nascita del design contempora­neo e del progetto domestico; la cementific­azione del paesaggio con alcuni tra i migliori ingegneri del mondo; il mondo delle villette geometrili con un’architettu­ra elegante, urbana e spesso sofisticat­a; l’emergere di una diffusa cultura di massa con la nascita della pubblicità e della grafica.

Il punto di partenza di questa mostra milanese è interessan­te perché punta a un’immagine inaspettat­a, pensa a un mondo fatto di forti individual­ità e di un diffuso individual­ismo. La «comunità degli architetti» è vista invece come la capacità della nostra architettu­ra di radicarsi nei diversi territori interpreta­ndoli spesso con originalit­à e capacità di ascolto, opponendo forme di realismo e visioni a una realtà che si consumava sotto la spinta di un processo di modernizza­zione mal controllat­o.

Insieme, l’idea di comunità diventa un richiamo per un tempo presente in cui l’architetto torni a essere quella figura necessaria alla costruzion­e di una qualità civile diffusa in un territorio in cerca di redenzione.

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Meraviglia Un anziano osserva uno degli edifici previsti dal celebre piano Ina-Casa nel secondo dopoguerra, a Matera. Grande promotore fu l’allora ministro del Lavoro Fanfani

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