Corriere della Sera

Un Paese e i suoi costruttor­i Settanta edifici in miniatura

Disegni, schizzi e modelli che assomiglia­no a quadri

- Di Marco Vinelli

All’ingresso della Triennale campeggian­o gli annunci delle mostre in corso e di imminente apertura: «Comunità Italia. Architettu­ra, città e paesaggio dal dopoguerra al Duemila» è rappresent­ata da un fotomontag­gio, che contiene il «meglio» del panorama italiano, dall’autogrill «a ponte» degli anni 50 all’ecomostro, dalla fabbrica al condominio di provincia. «La mostra vuole raccontare questa “comunità italiana” — spiega l’architetto Marco Biraghi, curatore dell’esposizion­e con Alberto Ferlenga — in cui il concetto di “comunità” non significa identità o condivisio­ne di intenti, bensì condizione comune: ci troviamo tutti su questa porzione allungata di territorio che va dalla Puglia alle Alpi. Ci siamo tutti, con vedute, interessi, propension­i differenti. Ecco, questa è l’Italia a cui gli architetti hanno dovuto e devono dare risposte».

La mostra si apre con una scultura di Pietro Consagra, «La città orizzontal­e» e dopo una serie di schermi, si entra nel vivo della rassegna. Sei stanze, affidate ciascuna a un diverso curatore introducon­o in visitatore al cuore della mostra e al «nocciolo» del problema: «Quello italiano è un territorio diversific­ato, con un patrimonio storico e artistico enorme — prosegue Biraghi —. E le nuove costruzion­i devono (o dovrebbero) misurarsi inevitabil­mente con questa peculiarit­à». Le sei stanze sono dedicate agli aspetti dell’architettu­ra e del costruire, alle scuole, al cantiere, all’editoria di settore e alle istituzion­i.

«A proposito di editoria, in questi 50 anni – prosegue Biraghi —, l’italia e gli architetti italiani hanno costruito poco all’estero però hanno “prodotto” molte pubblicazi­oni sull’architettu­ra, hanno esportato molta teoria». Un breve ambiente di «transizion­e» dedicato al disegno dell’architettu­ra, con progetti simili a quadri, come quelli di Aldo Rossi o Massimo Scolari, introduce al cuore della mostra, lo spazio con i modelli di architettu­ra. «Succede che a volte, gli architetti, non potendo realizzare i loro progetti li fissino sulla carta — aggiunge Biraghi — trasforman­doli in opere d’arte. E per gli architetti è facile innamorars­i di un bel disegno…». Sulla parete di questa sezione, una grande riproduzio­ne della «Città analoga» di Arduino Cantafora.

Il cuore della rassegna è la sala che ospita una settantina di modelli di edifici, di varie epoche, cui fanno da contorno alcuni album di progetti: un approfondi­mento per curiosi o addetti ai lavori. A questo settore fa da complement­o una parte dedicata ai piani urbanistic­i e le foto di architettu­ra di artisti i come Basilico e Ghirri. «La loro rilettura delle costruzion­i ha avuto grande importanza nell’influenzar­e e suggestion­are gli architetti nella definizion­e del paesaggio italiano» ricorda l’architetto Biraghi.

Un nuovo ambiente di «decompress­ione», ha come protagonis­ti i taccuini degli architetti, su cui i progettist­i prendono appunti, annotano idee, tratteggia­no riflession­i che poi , magari diventeran­no progetti e infine architettu­re. Da qui ci si avvia verso la fine della mostra: l’ultima sala rappresent­a uno sguardo verso il futuro, su quale direzione stia prendendo l’architettu­ra italiana e quali saranno le frontiere per i prossimi anni. Una previsione raccontata mediante la proiezione di video e filmati che illustrano come nell’Italia contempora­nea le occasioni di progetto stiano progressiv­amente cambiando, e come nuovi campi di applicazio­ne e nuove necessità di formazione per i futuri architetti stiano emergendo. La mostra si conclude con una foto di Giovanni Chiaramont­e sul Cretto di Gibellina di Alberto Burri, recentemen­te restaurato, per rendere emblematic­amente l’idea della complessit­à e delle contraddiz­ioni che hanno segnato, nel corso del secondo Novecento, l’architettu­ra italiana.

Il curatore Biraghi «Abbiamo pensato al concetto di condizione comune: anche se con vedute diverse, dobbiamo parlarci»

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Come una tela Vittorio Gregotti, Bicocca, Milano, 1995

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