Corriere della Sera

«Possibili rischi per la ripresa»

Parla Padoan. Il premier: pronti a inviare soldati, ma ci sia una strategia

- di Maria Teresa Meli e Lorenzo Salvia

«Ilclima seguito ai terribili fatti di Parigi è negativo e questo potrà avere effetti sulla ripresa». Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan non nasconde i timori del governo sui pesanti effetti della strage. Tanto che il dato del +0,9% di incremento del Pil indicato nella legge di Stabilità potrebbe rivelarsi irraggiung­ibile: «Quella cifra è una previsione e non un obiettivo. Gli effetti sono possibili, ma al momento non abbiamo elementi concreti che ci inducano a rivederla». Sul fronte sicurezza il premier Renzi dice che l’Italia è pronta a inviare soldati in Siria purché ci sia una strategia.

Ministro Pier Carlo Padoan, la paura del terrorismo avrà effetti anche sull’economia? Ci dobbiamo aspettare una ripresa più debole del previsto?

«La fiducia delle famiglie e delle imprese è un elemento essenziale per l’andamento dell’economia. Ed è molto importante, come ci ha appena detto l’Istat, che questo dato sia in crescita».

Quel dato, però, era stato rilevato prima degli attentati di Parigi. Oggi sarebbe ben diverso, non crede?

«Certo, il clima seguito ai terribili fatti di Parigi è negativo e questo potrà avere effetti sulla ripresa. Ma gli italiani hanno la corretta percezione che stiamo uscendo dalla crisi. E questo conta molto, sia per la fiducia sia per l’economia».

L’obiettivo per il 2015 resta una crescita dello 0,9% del Pil, il prodotto interno lordo?

«Non è un obiettivo, è una previsione. E quando si fa una previsione c’è sempre il rischio di doverla rivedere al rialzo o al ribasso. Non dimentichi­amoci che influisce anche un rallentame­nto delle economie di altri Paesi, cominciato ben prima degli attentati».

Quindi la crescita dello 0,9%, indicata dal governo nel Def, non ci sarà?

«Non ho detto questo. Degli effetti sono possibili ma al momento non abbiamo elementi concreti che ci inducano a rivedere quella cifra. E poi bisogna tener conto anche delle misure di reazione decise dal governo, con i 2 miliardi sugli interventi per la sicurezza e la cultura».

Buona parte della ripresa di quest’estate era stata trainata dal turismo. Difficile sperare che in quel settore non ci siano conseguenz­e.

«Non è detto. Sta cominciand­o la stagione sciistica, e le previsioni mi sembrano ottime».

A Roma sta per cominciare il Giubileo. Turisti non ce ne sono, i ristoranti sono vuoti.

«Staremo a vedere».

Ma lei, personalme­nte, ha paura che accada qualcosa, ha cambiato abitudini?

« Le mie abitudini sono cambiate, molto cambiate, da quando sono diventato ministro. Ma le voglio dire una cosa: a Parigi ho vissuto per sette anni, quando lavoravo all’Ocse. Le immagini che ho visto alla tv mi hanno colpito parecchio, perché quelle strade le conosco bene. Se abitassi ancora a Parigi non cambierei il mio stile di vita nemmeno di una virgola, perché quello sarebbe il primo segno di cedimento al terrorismo».

E in Italia, a Roma?

«Tanto meno».

Lei citava prima i 2 miliardi per sicurezza e la cultura. In realtà l’impegno di quelle risorse è condiziona­to al via libera dell’Unione europea sulla famosa flessibili­tà. Il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselblo­em, dice che dall’Italia arrivano «troppe richieste di flessibili­tà». Non proprio un bel segnale.

«Noi non chiediamo nulla che non sia già previsto dalle regole sulla flessibili­tà che parlano di investimen­ti e di circostanz­e eccezional­i, come i migranti e il terrorismo. È vero che sulle clausole di flessibili­tà l’Italia ha chiesto più degli altri Paesi. Non perché siamo indiscipli­nati ma perché gli altri Paesi non hanno le stesse condizioni di eligibilit­à, cioè di accesso, per queste clausole. Sono cose che lo stesso Dijsselblo­em conosce bene: erano scritte nello statement proprio dell’Eurogruppo, di cui è presidente».

Ma cosa succederà se Bruxelles dovesse dire no?

«Ci adegueremm­o alle regole, come abbiamo sempre fatto».

Nessuno sfondament­o del tetto del 3% sul deficit/Pil?

«No, il deficit continuerà a scendere e da qui a primavera l’Italia dimostrerà che ci sono tutti i requisiti per il via libera. Non ci sarà nessuna procedura d’infrazione, non siamo mica andati allo sbaraglio».

Bad bank, e il decreto di domenica scorsa per salvare le quattro banche vicine al fallimento per i crediti in sofferenza, cioè difficili da riscuotere. Gli istituti riaprono ma azionisti e obbligazio­nisti hanno perso tutto. Possono sperare in qualcosa?

«Abbiamo anticipato le procedure di risoluzion­e bancaria che saranno introdotte dal primo gennaio. In questo modo è stato possibile proteggere chi aveva depositato i soldi presso quei quattro istituti».

Resta il fatto che la Germania ha usato direttamen­te una grande quantità di denaro pubblico per salvare le sue banche senza incorrere nell’accusa di aiuti di Stato.

«Sì, 247 miliardi di euro. Ma l’ha fatto quando questo era possibile, prima del 2013. Quando questo governo ha cercato di rafforzare il regime di protezione del sistema bancario le regole non lo consentiva­no più».

Consideran­do tutte le banche le sofferenze sfiorano i 200 miliardi. Ci sarà una o più bad bank per tutto il sistema?

«Qualcosa si sta già muovendo. Le grandi banche hanno avviato i loro meccanismi di cessione delle sofferenze ai fondi interessat­i. Abbiamo accelerato i tempi per la soluzione dei crediti e messo fine al problema dei crediti d’imposta nei confronti della pubblica amministra­zione. Quello che manca è un’eventuale garanzia per agevolare lo scambio sul mercato dei cosiddetti crediti non performant­i».

Interverrà la Cassa depositi e prestiti ed è in arrivo un decreto entro dicembre?

«Ci sono varie ipotesi. Ma non decideremo entro la fine dell’anno: prima c’è da guidare in porto la legge di Stabilità».

Ecco, uno dei nodi ancora

Non ci sarà nessuna procedura d’infrazione Il deficit continuerà a scendere Sulle sofferenze bancarie ci sono varie ipotesi Decideremo nel 2016

da sciogliere è il piano per il Sud. Ci sarà? E che misure prevede?

«Ci sarà e sul tavolo ci sono tre ipotesi. Il credito d’imposta per gli investimen­ti che ha il vantaggio di essere automatico, cioè non ha bisogno di essere notificato a Bruxelles. L’estensione dello sconto sui contributi per il lavoro, che invece a Bruxelles va notificato e questo potrebbe allungare i tempi. E poi il super ammortamen­to, cioè lo sconto fiscale per chi investe nella propria azienda, che al Sud potrebbe essere ancora più forte».

Preferisce la prima ipotesi?

«Non esiste la misura ideale. Tutte hanno vantaggi e svantaggi. L’importante è che producano effetti struttural­i».

E le pensioni? Renzi ha detto che l’anno prossimo si tornerà a parlare di flessibili­tà. Lei è favorevole o contrario al fatto che un lavoratore vada in pensione prima accettando un assegno più basso?

«Il nostro sistema pensionist­ico è molto solido. Si può migliorare e io sono aperto a ogni discussion­e. Ma stiamo attenti a non indebolirl­o anche perché il nostro debito pubblico, come ci ricordano ogni cinque minuti, è molto elevato, anche se comincia a scendere dal 2016».

Per diminuirlo siete pronti anche alla privatizza­zione delle Ferrovie. Quanto contate di incassare?

«Impossibil­e dirlo oggi. Ma, oltre a quelli sul debito pubblico, ci sono almeno altri due benefici che verranno dall’operazione: esporre il management alle pressioni della concorrenz­a con vantaggi per gli utilizzato­ri e ridurre i trasferime­nti da parte dello Stato perché l’azienda potrà finanziars­i sul mercato».

La rete verrà scorporata?

«La proprietà delle rete resterà pubblica, su questo c’è totale accordo. Altra cosa è la gestione della rete: ci stiamo ancora ragionando. Ma in ogni caso è chiaro che sulla rete ci deve essere competizio­ne».

Ha fatto discutere la frase del suo collega Poletti: l’orario di lavoro è un attrezzo vecchio. Lei è d’accordo?

«Detto così può sembrare fuori luogo. Ma leggendo tutta la frase, e conoscendo Giuliano, sono d’accordo con lui. L’orario di lavoro rimane una variabile importante ma non è più l’unica, nemmeno per un Paese manifattur­iero come il nostro, dove però continua a crescere l’importanza dei servizi e quella che chiamiamo l’economia della conoscenza. Introdurre strumenti di misurazion­e della produttivi­tà non serve a punire il lavoratore. Al contrario, serve a trasformar­e la produttivi­tà in qualcosa che finisce nelle tasche del lavoratore».

Il sistema pensionist­ico è molto solido. Io sono aperto ma stiamo attenti a non indebolirl­o

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Allerta L‘esercito in servizio di sicurezza antiterror­ismo intorno al Duomo. Il simbolo di Milano è considerat­o, insieme al Teatro alla Scala, e alla città di Roma uno dei luoghi più a rischio in Italia ( foto Fracchia)

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