Corriere della Sera

L’agguato al leader curdo riaccende la Turchia

- di Francesco Battistini

Tahir Elci, presidente dell’associazio­ne degli avvocati di Diyarbakir nel sud-est a maggioranz­a curda della Turchia, giustiziat­o in una sparatoria in strada durante un incontro pubblico. Il presidente Erdogan minimizza: «Un incidente». Cortei e manifestaz­ioni di protesta in varie città del Paese.

Troppe le forze in movimento in questa fase in Turchia. Terroristi, servizi, mani interessat­e a tenere vivo il fuoco attorno alla crisi curda spezzettat­a in tanti segmenti.

Il primo oppone Erdogan ai separatist­i del Pkk. Nessuno ha voglia di fermarsi nonostante le decine di migliaia di vittime dall’84 ad oggi. Il presidente promette lotta totale, continua a bombardare e reprimere, usa il nodo a fini nazionalis­tici. I guerriglie­ri ribattono colpo su colpo.

Più volte in questi ultimi anni si è parlato di negoziato e poi si è ripiombati nel ciclo di violenza. Con il ritorno di misteriosi gruppi anti curdi, come i «leoni di Allah», che ricordano le squadre della morte del passato e le imboscate ai soldati. Spesso l’incendio si è unito a quello siriano.

Appena oltre il confine turco sta crescendo il movimento Ypg, molto vicino al Pkk. Protagonis­ta della resistenza a Kobane contro l’Isis, si è trasformat­o nel miglior alleato della coalizione a guida americana. Impression­ante la parte di territorio che ha sottratto al Califfato. Ankara ha guardato tutto con preoccupaz­ione, irritata per il patto d’azione (e di interesse) tra l’America e i marxisti curdi. Washington è convinta della scelta fatta ed ha rifornito di armi i militanti pur mimetizzan­do il tutto creando una nuova sigla insieme a formazioni di ribelli siriani.

È così nata una fanteria con l’ombrello dell’Us Air Force. In teoria dovrebbe puntare su Raqqa, una delle città in mano allo Stato Islamico. Ma al tempo stesso i curdi non dimentican­o di essere tali e vorrebbero spingersi invece a occidente, verso Jarabulus, per completare la costruzion­e della Rojava, la loro entità, arrivando fino all’enclave di Afrin. Piano che provoca il mal di stomaco a Erdogan.

È tema delicato che spinge la Casa Bianca alla prudenza. Ma l’Ypg può esplorare altre strade, in particolar­e con Mosca. I leader del movimento sono pronti a coordinars­i con il Cremlino e chissà che non sfruttino a loro vantaggio la tempesta tra lo Zar e il Sultano. Non meno complicato il rapporto con la resistenza siriana. In alcune zone c’è azione comune, in altre si pigliano a fucilate. Nei giorni scorsi l’Ypg, insieme a reparti dell’Fsa (insorti pro occidental­i) ha dato battaglia agli islamisti di Al Nusra nel settore di Aleppo. Per molti oppositori i curdi siriani non sono proprio

I curdi sono divisi territoria­lmente e, in alcuni casi, si consideran­o nemici

dei fratelli. Anzi, li vedono come dei collaboraz­ionisti del regime.

E le tensioni camminano rapide. L’Ypg ha rapporti complicati con i peshmerga del Kurdistan (Iraq), raramente si aiutano, volentieri litigano. Differenze che in alcuni angoli coinvolgon­o gli yazidi. Quest’ultimi, nei giorni scorsi, sono stati protagonis­ti di scontri a fuoco con i curdi iracheni, a loro volta divisi e alle prese con le milizie sciite nella regione di Tuz. Non è finita. Ci sono ancora i curdi iraniani, alleati del Pkk e nel mirino dei pasdaran. Strana situazione dove lo smembramen­to della Siria crea opportunit­à per i curdi, ma è utile ai loro nemici per mettersi di traverso, specie quando è più facile usare la forza contro il nemico e figure di peso come Tahir Elci.

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