Corriere della Sera

«Identità e accoglienz­a»

- Di Stefania Giannini

Caro direttore, ogni giorno ne abbiamo conferme: nei tempi complessi che stiamo attraversa­ndo le politiche educative tornano al centro del dibattito e acquisisco­no una funzione inedita e potente.

È un fatto di per sé positivo, straordina­riamente positivo, che dà a un’Europa insicura e impaurita le giuste leve per ritrovare certezze. Ma è un fatto che impone a tutti — politici, famiglie, insegnanti soprattutt­o, che ogni giorno sono in classe, e cittadini in genere — un duplice dovere.

Il dovere dell’ambizione: progettare una scuola diversa e più forte, plurale e unita, capace di dialogo, reciproca conoscenza e confronto costante, quotidiano. Ciò significa valorizzar­e i simboli di tale identità e non nasconderl­i, siano essi laici (tutti abbiamo visto cosa vale una bandiera nella Francia di oggi) o religiosi. Il presepio non è più un simbolo di potere da abbattere o da difendere e non è nemmeno la figura di un relativism­o prêt-à-porter. È la traccia di una storia plurale, nella quale si iscrivono altre storie, degne di conoscenza e rispetto.

E il dovere dell’attenzione: agire con delicatezz­a, evitando polemiche che servono a pochi, e di certo non ai nostri figli. Ed evitando che episodi come quello esploso in questi giorni sulla scuola di Rozzano diventino oggetto di tenzoni goffe.

Se tutti condividia­mo l’ambizione di vedere la scuola come luogo principale di trasmissio­ne e condivisio­ni dei nostri valori e di integrazio­ne con i valori di altre comunità che sono ormai parte integrante della nostra società, allora a tutti spetta di trattare quanto succede in ogni scuola con prudenza e rispetto.

Ho trovato questa stessa consapevol­ezza lunedì scorso tra i miei colleghi ministri europei, nel Consiglio istruzione che, in una Bruxelles deserta e spettrale, si è interrogat­o sulla risposta culturale ed educativa che ogni scuola potrà dare, di città in città, di studente in studente.

In quel Consiglio l’Italia ha ribadito la propria posizione: quanto investirem­o in energie, idee e risorse per la scuola e per la cultura, per i nostri valori e per i nostri monumenti, è per noi importante quanto quello che faremo per la sicurezza e il controllo del nostro territorio.

E dunque servono politiche europee della conoscenza che accrescano l’interscamb­io con i Paesi islamici, specie nel campo degli studi umanistici. Serve un modello di integrazio­ne europea basato anche nella condivisio­ne dei curricula scolastici, per far sì che l’identità plurale dell’Europa si comprenda e si insegni tra i banchi in tutti gli stati membri, a tutti i gli alunni. Servono politiche di accesso e diritto allo studio che, a partire dalla scuola, includano i più deboli e vulnerabil­i, perché è anche dall’esclusione e dalla mancanza di condizioni di vita decente che nascono odio e violenza.

Un piano comunitari­o Servono politiche europee della conoscenza per accrescere l’interscamb­io con i Paesi islamici

La scommessa di questo Governo sulla scuola non parte in questi giorni. Ciò che sentiamo oggi con maggiore forza è la gigantesca responsabi­lità culturale di guidare e indirizzar­e l’architrave della sicurezza e della stabilità del Paese. Perché questo è la scuola. Il luogo dove nessun bambino è solo. Il luogo dove c’è e ci deve essere spazio e accoglienz­a per tutti gli studenti: abili e disabili, figli di italiani e figli di stranieri. Il luogo dove i 14.500 minori non accompagna­ti arrivati quest’anno sono stati accolti senza domande, ascoltando e ben sapendo che a scuola, se è scuola, ci si deve sentire davvero a casa, subito e senza condizioni.

Questo è il nostro difficile e affascinan­te compito. Da portare avanti con prudenza, consapevol­ezza e ambizione.

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