Renzi: l’Italia è pronta anche con i soldati ma serve una strategia
Il premier: bisogna sapere per cosa si bombarda
Se c’è una cosa che Matteo Renzi poco sopporta di questi tempi è sentirsi dire che non ha una strategia in politica estera. «E questo solo perché non inneggio alla guerra», si sfoga con i collaboratori.
Eppure la sua linea in questa sfera il presidente del Consiglio l’ha pianificata nei dettagli. E non da ora. La verità, quindi, è un’altra, secondo il premier: «Io sono pronto a tutto, anche militarmente, ma a patto che ci sia una strategia precisa per adesso e per il dopo, sennò si creano solo nuovi problemi come è stato fatto in Libia, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti». «Insomma — è il ragionamento del presidente del Consiglio — io sono pronto anche a mandare più elicotteri, più soldati... però dobbiamo decidere che cosa vogliamo fare, con quale coalizione intendiamo agire, dobbiamo pensare a tutti i dettagli, a quelli militari e a quelli della ricostruzione, prima di muoverci». Ma questa strategia, per il premier, ancora non c’è: «E non è venuta fuori nemmeno nel corso del mio colloquio con Hollande».
Dunque, «esaminiamo la situazione, punto per punto, diamoci una strategia e poi...». E poi «l’Italia non si tirerà indietro»: «Io — dice Renzi — non sono né un terzomondista né un antimilitarista, non è questa la mia cultura, per cui quando sarà il momento, quando tutto sarà pianificato, noi ci saremo, parteciperemo in pieno. L’Italia farà la sua parte come sempre, non resterà ferma o defilata. Lo ripeto, io non sono un pacifista, la mia posizione e quella degli Stati Uniti coincidono: dobbiamo sapere per che cosa stiamo bombardando».
Del resto, sottolinea il presidente del Consiglio, «noi siamo già su tutti i fronti di guerra sparsi per il mondo. Siamo in Afghanistan e in Libano e in molti altri luoghi ancora. Abbiamo più di seimila soldati impegnati in queste iniziative, il doppio di quelli che hanno mobilitato i tedeschi e un numero maggiore della stessa Francia. Per fare un esempio: la Germania ha deciso di fare ora quel lavoro di scouting militare che noi facciamo già da un anno. E infatti quando Joe Biden è venuto a Roma a incontrarmi ha riconosciuto pienamente tutto il lavoro che stiamo facendo. Nessuno ci ha chiesto di fare di più».
Ma c’è dell’altro: secondo Renzi non si può affrontare l’emergenza terrorismo senza una strategia rivolta anche all’interno, al proprio Paese: «D’altra parte — sottolinea parlando con i suoi — gli attentati di Parigi sono nati da dentro, dalla Francia e dal Belgio». Ed è per questa ragione che il premier mira a coniugare l’offensiva della «sicurezza» con quella «culturale»: «Questo approccio è una specificità italiana e fa parte della nostra tradizione. Io ritengo che per ogni euro speso per avere una telecamera di sorveglianza, si debba stanziare altrettanto per costruire un campetto di calcio. Solo così potremo pensare di vincere la
Il freno Il leader: un piano preciso non è venuto fuori neanche con Hollande
sfida culturale. Per questo insisto sulla necessità di lavorare nelle periferie per migliorarne le condizioni». Insomma, l’Italia non avrà le sue banlieue. Di questo il premier è assolutamente convinto. E continuerà a lavorare sul «fronte culturale della sua strategia». Ma c’è anche un altro versante che il presidente del Consiglio ritiene importante e sul quale, a suo giudizio, il nostro Paese ha fatto grandi passi avanti. Quello diplomatico. «Non dimentichiamo che noi prima eravamo fuori dai giochi e ora siamo tornati a essere della partita, sull’accordo con l’Iran. Obama e Kerry ci hanno riportato al tavolo di Vienna. E questo è un fatto molto, molto importante».