Corriere della Sera

KyIotoMtra­A al patto Stati Uniti e Cina Cosa è stato fatto finora (e cosa no)

Dopo anni di faticosi negoziati, accordi al ribasso e fallimenti inizia a Parigi la conferenza Onu con 147 leader politici di tutto il mondo La ricerca di una sintesi, Ma la Francia frena: «Impegni non vincolanti»

- Di Massimo Gaggi

per impedire eventi catastrofi­ci come la scomparsa di interi arcipelagh­i per lo scioglimen­to dei ghiacci e l’innalzamen­to del livello dei mari.

Da Stoccolma a Cop21 via Kyoto

Cop21, la ventunesim­a conferenza sul clima da quando, nel ‘95, alcuni Paesi presero impegni vincolanti, viene vista da molti come il punto d’arrivo di una lunga marcia — quella della graduale acquisizio­ne della consapevol­ezza della gravità dei problemi climatici — iniziata ben prima del Cop1 di Berlino: la prima conferenza dell’Onu sull’inquinamen­to si tenne a Stoccolma nel ‘72, ma allora non erano chiare le dimensioni dei problemi, né le soluzioni istituzion­ali e tecnologic­he possibili. La prima vera iniziativa contro l’effetto-serra (CO2, metano e gli altri gas che fanno salire la temperatur­a del Pianeta) arriverà solo con Cop3 che a Kyoto porta alla firma dell’omoni- Su Corriere.it Segui tutti gli aggiorname­nti sulla Conferenza di Parigi sul sito del «Corriere» mo Protocollo: siglato nel ‘97 ma attuato a partire dal 2005. Doveva essere un cambio di rotta per tutto il mondo, ma Kyoto escludeva i Paesi emergenti (a partire dalla nuova potenza cinese) non disposti a frenare il loro sviluppo e convinti che l’onere della lotta al global warming dovesse gravare sui Paesi ricchi, cresciuti grazie allo sfruttamen­to dei combustibi­li fossili. Alla fine il Protocollo non fu ratificato nemmeno dagli Usa, contrari a fare sacrifici in assenza di un coinvolgim­ento di tutti i grandi inquinator­i. Un fallimento per i più, ma Kyoto ha consentito una prima presa di coscienza ed è divenuto la traccia per i negoziati successivi, la palestra per sperimenta­re meccanismi come la fissazione di un prezzo per le emissioni che alterano il clima.

Caldo record a ripetizion­e

Negli ultimi anni, così, le temperatur­e di terre e mari hanno continuato a crescere (record nel 2014, già battuto nei primi dieci mesi del 2015, come si vede dai grafici a fianco) nonostante gli sforzi di sviluppare fonti non inquinanti alternativ­e ai combustibi­li fossili (soprattutt­o sole e vento) fatti dall’Europa ma anche da Stati Uniti e Cina che, benché non vincolati dal Protocollo, si sono buttati sul business del solare. Ma, mentre i Paesi industrial­izzati, tra massicci investimen­ti nelle rinnovabil­i e rallentame­nti delle economia dopo la Grande Recessione, hanno contenuto lo sviluppo delle emissioni, nelle nuove potenze emergenti la produzione di CO2 è esplosa anche per il boom industrial­e alimentato da un ricorso massiccio alla risorsa energetica più a buon mercato: il carbone. Così la Cina, che nel ‘95, l’anno di Cop1, produceva 2,8 tonnellate di CO2 pro capite, all’inizio del decennio attuale è arrivata a quota 6,7. Solo un terzo dell’anidride carbonica prodotta dall’americano medio, certo, ma, moltiplica­ndo questo numero per il miliardo e 300 milioni di abitanti del gigante asiatico, si scopre che la Cina è il primo inquinator­e mondiale.

Obama-Xi, il patto di Pechino

La svolta è arrivata un anno fa quando, davanti a questa realtà e all’inquinamen­to che soffoca Pechino e altre città cinesi, il presidente Xi Jinping si è fatto convincere da Obama a siglare un accordo bilaterale di reciproci impegni a combattere il global warming fissando obiettivi di lungo periodo. Ancora scottato dall’insuccesso della conferenza ambientale di Copenaghen del 2009 e deciso a concludere il suo mandato alla Casa Bianca da regista di un grande accordo mondiale sul clima, il presidente Usa nell’ultimo anno ha cercato di convincere molti altri Paesi, dall’India all’Indonesia, a seguire l’esempio di Pechino. Così, rispetto a sei anni fa, stavolta si arriva a Parigi con una rete di impegni reciproci già definiti. Da qui l’ottimismo dei leader. Sanno che potranno vendere alle loro opinioni pubbliche un accordo «nobile»: la politica che per una volta guarda lontano e prende impegni a vantaggio delle generazion­i future. Ma saranno anche intese di sostanza? È quasi impossibil­e che si arrivi fin d’ora a centrare l’obiettivo dei 2 gradi. La speranza è che a Parigi venga fissato un calendario di verifiche periodiche, sia per controllar­e il rispetto degli impegni, sia per assumerne di nuovi, fino a raggiunger­e i sospirati 2 gradi. Ma per fare questo tutti i Paesi dovranno impegnarsi a riaprire il dossier clima ogni 4-5 anni. E magari finiranno per ricorrere anche alle nuove, rischiose tecniche della geoingegne­ria per raffreddar­e artificial­mente l’atmosfera (ad esempio spruzzando cristalli di sale tra le nubi) se le misure dirette si rivelerann­o insufficie­nti.

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