Corriere della Sera

Viaggio al femminile

Cast di dive per il film francese L’attrice Audrey debutta alla regia 11 donne a Parigi Dana: «Con l’aiuto di Casta e Adjani racconto le relazioni tra i due sessi negli ultimi 60 anni»

- Valerio Cappelli

Ha un nome impegnativ­o al cinema: Audrey. Come la Hepburn. A ripercorre­re la storia di Audrey Dana, si potrebbe pensare che sia per l’amore a maglie larghe. In realtà, a dispetto delle apparenze, lei crede nella famiglia. Ha due figli da due relazioni, ora si è risposata con un uomo che aveva già i suoi figli: «Viviamo nello stesso palazzo ma in appartamen­ti e in piani diversi. Funziona». È un’attrice famosa e compare nel suo debutto da regista, 11 donne a Parigi (dal 3 dicembre), che in Francia ha avuto un milione e mezzo di spettatori. Ritratto al femminile, cast importante: Isabelle Adjani, Laetitia Casta, Vanessa Paradis...

Dana, quali sono le difficoltà e le «trappole» nel rappresent­are le donne oggi?

«Sono nello scrivere undici storie e condensarl­e in un film. Non ho voluto vedere cosa fosse giusto o sbagliato per una donna, ma cosa fosse vero per me. Volevo raccontare i cambiament­i che la femminilit­à sta vivendo, con un andamento narrativo un po’ tempestoso».

Nei suoi personaggi non troviamo giovani o anziane...

«Hanno fra i 35 e i 50 anni, la mia generazion­e. Ho dovuto tagliare tante storie, il progetto è partito da duecento interviste che ho fatto e c’erano sia teenager che trans. Sarebbe stato un grande materiale per una serie televisiva, non per un film. Ma avevo già le attrici pronte e dovevo aprire il set».

Gli aspetti insoliti scoperti nel suo viaggio al femminile?

«Sessant’anni fa in tanti Paesi non potevamo guidare l’auto, votare o avere un conto in banca. Dopo queste conquiste avremmo potuto diventare euforiche e andare a 300 all’ora in autostrada. Le relazioni tra i due sessi si sono complicate, c’è della commedia in questo».

Gli uomini sono la cornice del suo film: come ne escono?

«Prima era facile, i ruoli erano definiti. Oggi le regole di convivenza sono cambiate, quelle del passato non vanno più bene. Non puoi aspettarti che le donne facciano le stesse cose di una volta, perché lavoriamo. Chiediamo agli uomini di cambiare così come noi donne stiamo cambiando. Anche se da una parte vogliamo la sicurezza e dall’altra la libertà».

E gli uomini per cosa dovrebbero battersi?

«Noi ci battiamo per avere gli stessi diritti e guadagnare come voi; voi vi battete per essere padri. Se le cose si mettono male, venite esclusi dalla famiglia, spesso vi si dice di pagare e basta. Alcune donne credono che non siate necessari. Io sono una pro daddy. Dobbiamo smettere di farci la guerra. Il mio prossimo film è un invito alla pace: Se io fossi un uomo, la storia di una ragazza che ha chiuso con gli uomini, un giorno si sveglia con un pene che è “vivo”, ha una sua personalit­à. Si mette nelle scarpe degli uomini per capirli».

La solitudine è un altro protagonis­ta del suo film?

«Sì, assolutame­nte. È la parola più frequente nelle risposte alle mie interviste».

Il ruolo di Laetitia Casta è irresistib­ile: non riesce ad avere una relazione, appena le si avvicina un uomo è colpita dalla gastrite con effetti indesidera­ti. Come l’ha convinta?

«Era il ruolo che voleva fare, perché il più vicino a lei come carattere. Così fragile, dubbiosa, può avere un’allergia prima di una cena romantica. Ma anche divertente. Laetitia è diversa da quello che si pensa di lei».

Isabelle Adjani, senza una ruga in volto, irriconosc­ibile.

«Nel film rappresent­a una di quelle donne di oggi che combattono contro il tempo. Non avrebbe mai accettato se non avesse trovato importante dire questo».

C’è qualcosa della sua adolescenz­a nel film?

«Mi sono ispirata alla vita, dunque ci sarà qualcosa di me. Sono cresciuta in un piccolo villaggio in campagna, nel mezzo del nulla. Cinque sorelle e un fratello. I genitori assenti. Mio padre non c’era mai, mia madre si occupava di bambini disagiati. Se vado dallo psicologo? Non è l’unica cosa che faccio per diventare una persona decente».

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