Corriere della Sera

L’orgoglio di difendere una doppia identità

- Di Giuseppe Sarcina

Lo scrittore tunisino Abdelaziz Belkhodia ha scritto una serie di romanzi per celebrare il primato di Cartagine nell’antichità e per ricordare ai connaziona­li da quale parte del mondo provengano. L’ultimo, Le retour de l’éléphant (Apollonia Editions), è stato scritto nel 2003, otto anni prima della Rivoluzion­e dei gelsomini. Anche negli anni più oscuri della dittatura padronale di Ben Ali, la cultura tunisina si considerav­a parte della koinè mediterran­ea. La testimonia­nza più solida e inoppugnab­ile è custodita proprio nel museo del Bardo, a Tunisi. I mosaici romani, tra i più belli del pianeta, sono custoditi nel palazzo in cui ha governato, più o meno formalment­e fino al 1957, il Bey, cioè il luogotenen­te degli Ottomani. L’articolo 1 della nuova Costituzio­ne tunisina proclama la nascita di uno Stato democratic­o, «la cui religione è l’Islam». In questa semplice frase si condensa la sfida più coraggiosa e affascinan­te nata dalla stagione delle Primavere arabe. La Tunisia guarda a Occidente, pur confermand­o la cultura e la tradizione musulmana. Un equilibrio forse complicato, un modello ancora pieno di incognite, ma decisament­e vitale, nonostante i rovesci e le guerre nei Paesi vicini, dall’Egitto alla Siria. Non a caso proprio il Bardo è stato scelto come obiettivo strategico dai fondamenta­listi islamici il 18 marzo scorso. I kalashniko­v dei terroristi hanno ucciso 20 turisti provenient­i da mezzo mondo, pronti a immergersi nella bellezza assoluta dei grandi mosaici: Perseo e Andromeda; Ulisse legato all’albero della nave per resistere alle sirene; Nettuno e le quattro stagioni. I tunisini hanno risposto con una grande manifestaz­ione di piazza, stringendo­si intorno al loro museo, il simbolo nello stesso tempo più antico e più moderno di un’identità originale. Il ponte Aquileia-Bardo è culturalme­nte interessan­te, politicame­nte necessario.

«Certo che ho paura. Ho paura al mattino, quando accendo la radio. Ho paura quando, se c’è la corrente, mi collego a Internet. Ho paura di tutte le mie giornate».

Eppure, ogni mattina, l’archeologo Maamoun Abdulkarim, direttore generale dei Musei e delle Antichità siriane, si alza, va nel suo ufficio di Damasco e comincia una conta difficile: quanti oggetti preziosi sono scomparsi? Dove si troveranno? Come fare per portare in salvo quelli non ancora trafugati da Daesh (il termine dispregiat­ivo con il quale i musulmani definiscon­o Isis) o dai «mafiosi», come lui chiama i trafficant­i di reperti antichi?

C’è anche un’altra domanda che qualche volta si affaccia subdola dietro l’orecchio: riuscirò a tornare a casa stasera? Sì, perché la memoria di Khaled al Asaad, il direttore del sito archeologi­co di Palmira decapitato dal sedicente Califfato islamico, in lui è vivissima.

Professore, i reperti del Bardo sono in mostra ad Aquileia. In fondo, è un messaggio di speranza. Che cos’è per lei oggi questa parola?

«È una parola indispensa­bile. Altrimenti non farei parte di questo mondo in bilico, fatto di circa 2.500 persone (tanti sono i funzionari preposti alla tutela delle antichità siriane) che rischiano la vita tutti i giorni. Sia perché l’integralis­mo islamico minaccia chiunque voglia elevarsi

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy