Corriere della Sera

« Il mio sogno è la Nba Noi gli anti Usa? Ma va’»

Scariolo c.t. della Spagna: «Il podio a Rio un’impresa»

- Daniele Dallera Roberto De Ponti

Italiani si nasce, spagnoli si diventa. L’inflession­e marbellana è ben mimetizzat­a ma rispunta qua e là, quando si parla di giocatori da allenare o di fenomeni da gestire. Don Sergio Scariolo, classe 1961, è italiano di Brescia, interista di indole (se c’è da giocare a paddle, un tennis in miniatura, una telefonata a Roberto Mancini non manca mai) ma spagnolo di elezione. Non è un caso che a Madrid e dintorni lo considerin­o un semidio, il c.t. che ha riportato il basket spagnolo ai livelli più alti; in Italia invece lo ricordano come l’allenatore (uno dei tanti) che ha fallito a Milano. Come cantava quel tale: da che parte guardi il mondo tutto dipende.

Sergio Scariolo: Italia o Spagna?

«Mi sento italiano, mi riconosco spagnolo». Si spieghi. «La mia è una scelta di vita. Quando posso torno volentieri in Italia, ma oggi mi riconosco molto di più nel movimento sportivo spagnolo. E quando siedi sulla panchina della Spagna, senti l’inno, capisci che allenare questa Nazionale non è solo scrivere quattro cose su una lavagnetta».

E quando ha sentito l’inno di Mameli, a Berlino?

«Doppia emozione, ma finito l’inno sono rimasto il c.t. della Spagna».

Che oggi è la più seria candidata a opporsi allo strapotere del basket Usa. «Non scherziamo». Eppure a Londra 2012 siete arrivati a tanto così dal batterli in finale.

«È il “tanto così” che fa la differenza». La sua squadra è forte. «L’Olimpiade è diversa. La vita nel villaggio, i miniappart­amenti, la mensa... Un’esperienza fantastica, ma 20 giorni lì dentro non sono facili da gestire».

Siete i campioni d’Europa, e a Rio avrete almeno altri 5 giocatori che potrebbero giocare in quintetto in qualsiasi Nazionale, Spagna compresa: Rubio, Calderon, Navarro, Ibaka, Marc Gasol...

«Chiariamo: nelle scelte non mi farò guidare da un criterio automatico. Ciò detto, non posso negare che questa generazion­e meriti di avere il suo canto del cigno a Rio».

Chi gliel’ha fatto fare di rischiare tornando ad allenare la Spagna dopo averla lasciata con due ori europei e un argento olimpico?

«Le dolci pressioni dei giocatori più rappresent­ativi». Dolci pressioni? «Messaggi tipo “abbiamo bisogno di te”. E avere un simile riconoscim­ento da campioni che hanno fatto la storia di questo sport vale quanto un titolo».

Vincere l’ultimo Europeo com’è stato?

«Gratifican­te. Avevo 6 esordienti in squadra. Per la prima volta abbiamo vissuto l’emozione di fare qualcosa di importante, non il “bravi ma avete solo fatto il vostro dovere”».

Come valuta la prestazion­e dell’Italia agli Europei?

«Positivame­nte, sia per il risultato sia per la crescita della squadra». Supererà il preolimpic­o? «Ha i mezzi per farlo. Il difficile per Ettore Messina sarà riuscire a tenere per 2 mesi un gruppo sulla corda».

E come valuta il suo ex giocatore Alessandro Gentile?

«Molto bene. Maturo per la sua età. Ha un grande talento, e il talento non si insegna, ma si sta evolvendo. E ha solo 22 anni. Deve solo imparare a vincere in squadre importanti, le vittorie danno più sicurezza, ma se penso a come difendeva 3 anni fa, vedo un giocatore che ha fatto progressi importanti».

Vincere in squadre importanti. Milano lo è?

«Ha le potenziali­tà per esserlo».

Non possiamo non parlare di Milano. «Temevo. Parliamone». Che cosa non ha funzionato nella sua squadra?

«Errori di costruzion­e. Alcune scelte di mercato si rivelarono non azzeccate. Quella di Milano è una maglia che pesa più di altre».

È possibile che ogni allenatore a Milano si ritrovi in affanno?

«È possibile. Se il margine di errore è ristretto, allora subentra l’affanno».

Gli allenatori sono permalosi?

«Tutti, allenatori e non, nasciamo permalosi. Poi c’è chi impara a nascondere la propria permalosit­à. Io sopporto tutto, non le critiche generiche di chi non sa. In Spagna c’è un detto: “con chi hai pareggiato tu per poter parlare?” Non vinto, pareggiato...». Scariolo e la Nba? «Aspetto proposte interessan­ti, ho un paio di contatti, vedremo. Resta il mio sogno».

Il suo curriculum è importante. Può pesare?

«Sì, ma in negativo. Non tutti i coach hanno la forza di Gregg Popovich, che può permetters­i di chiamare come assistente un grande come Messina. Se sei un allenatore vincente in Europa ti guardano con sospetto».

Una medaglia olimpica potrebbe aiutare?

«Chi lo sa... Ma credo sia più facile arrivare a San Pietro a piedi da Milano che salire sul podio a Rio».

Buona passeggiat­a.

L’Armani ha le potenziali­tà per diventare una squadra importante, perché è così difficile allenarla? Se il margine d’errore è ristretto è normale che subentri l’affanno

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