Corriere della Sera

L’ALIBI CHE DRAGHI NON HA DATO A BORSE E GOVERNI

L’Istituto europeo ha optato per un graduale ampliament­o del programma di acquisto di titoli in atto dallo scorso marzo. Lo scenario economico non giustifica scelte spregiudic­ate e i Paesi non devono confondere la flessibili­tà con l’autorizzaz­ione a ravvi

- Di Francesco Daveri

Con la recente decisione del suo Consiglio direttivo, la Banca centrale europea, presieduta da Mario Draghi, ha optato per un graduale ampliament­o del suo programma di acquisto di titoli in atto dallo scorso marzo. Proprio per la sua gradualità l’allargamen­to è stato accolto male sui mercati che si aspettavan­o di più (peraltro solo quelli europei, ieri Wall Street, galvanizza­ta dal numero dei posti di lavoro creati negli Stati Uniti, ha guadagnato il 2%).

I n effetti le Borse chiedono praticamen­te la luna al governator­e della Bce, e non da oggi. Auspichere­bbero un ritorno ad una crescita più equilibrat­a che però dipende molto più dai governi (o da Bruxelles) che da Francofort­e. Soprattutt­o si aspettano che se qualcosa non va per il verso giusto — se fallisce una grande banca, se c’è un attacco terroristi­co, se la Cina rallenta più velocement­e del previsto — la banca centrale non faccia mancare un supporto permanente a banche e mercati finanziari, con interventi potenzialm­ente illimitati e senza una data di fine, dunque ben al di là della garanzia di liquidità di emergenza tipica delle banche centrali.

Nelle condizioni di oggi, però, il presidente della Bce non poteva che frustrare almeno parzialmen­te queste aspettativ­e per tre solide ragioni. La prima è contingent­e. Le nuove previsioni su Pil e inflazione diffuse proprio dalla Bce non indicano rilevanti cambiament­i di scenario economico. La ripresa europea prosegue lentamente. Più lentamente di quanto sarebbe auspicabil­e, ma prosegue. E l’inflazione, oggi ancora vicina a zero, è prevista — più o meno come in passato — in ascesa all’uno per cento nel 2016 e all’1,6 per cento nel 2017.

Se dunque poco o nulla è cambiato nel quadro macro, sarebbe stato poco praticabil­e rivoluzion­are un programma ancora in fase di attuazione che oltre tutto — come ha puntiglios­amente ricordato Draghi nella conferenza stampa alla fine del consiglio — ha ridotto i tassi sui titoli di 140 punti e riportato in positivo la crescita del credito nell’eurozona.

C’è poi una seconda ragione più geopolitic­a, e cioè che i 25 membri del consiglio direttivo della Bce hanno deciso nella consapevol­ezza che le loro decisioni venivano prima di quelle dei banchieri centrali Usa che, tra un paio di settimane sotto la presidenza di Janet Yellen, dovranno decidere se aumentare il tasso di interesse di riferiment­o per i mercati finanziari

americani per la prima volta dal 2006. Un’accelerazi­one del programma di sostegno di acquisto dei titoli in Europa avrebbe accresciut­o la divergenza delle politiche delle banche centrali tra i due lati dell’Oceano Atlantico e anche l’instabilit­à sui mercati valutari. Proprio la signora Yellen solo due mesi fa — sorprenden­do tutti — rinviò il rialzo dei tassi Usa per non esacerbare le difficoltà dei Paesi emergenti e della Cina. La verità è che le interdipen­denze tra le banche centrali accrescono la loro cautela nell’adottare decisioni che in passato avrebbero preso più a cuor leggero. E così arrivano le delusioni per i mercati che non hanno ancora imparato a capire queste interdipen­denze.

Infine, dietro alla scelta della Bce si intravede anche una terza ragione di cautela. Un’estensione più consistent­e del programma (comunque possibile in futuro come ha ribadito ieri Draghi dagli Usa) sarebbe stata una forte apertura di credito e di garanzia a governi nazionali che solo ora hanno iniziato a sperimenta­re un certo recupero di flessibili­tà fiscale dopo anni di austerità. Quei governi che scambiasse­ro la flessibili­tà con un ritorno alla spesa facile in deficit come scorciatoi­a per ravvivare la crescita anemica delle loro economie (per l’Italia si fermerà allo 0,7 per cento nel 2015, dice l’Istat) hanno ricevuto da Francofort­e un messaggio forte e chiaro.

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