La dolorosa scelta compiuta a Bruxelles Stretta sulla sicurezza per salvare Schengen
tra i rappresentanti dei governi nazionali e i vertici del Parlamento europeo: con i primi — insieme alla Commissione — determinati a rafforzare la sicurezza; e i secondi decisi a difendere i diritti dei cittadini, ciò che resta della loro privacy.
Ma se dopo tredici anni l’Unione arriva a rinnegare se stessa, se si appresta ad adottare un protocollo in base al quale verranno schedati i viaggiatori, le biglietterie dove avranno comprato i ticket, le modalità di pagamento, l’eventuale acquisto di altri posti sullo stesso aereo o su altri voli, oltre a vari «dati sensibili». E se di qui a pochi mesi questo sistema di controllo non varrà solo per le tratte extra-europee, ma potrebbe venire esteso addirittura ai tragitti all’interno dei ventotto Paesi Ue, vuol dire che il «coma» in cui versa il trattato di Schengen rischia di diventare irreversibile.
D’altronde, bastava vedere la scorsa settimana le file interminabili di auto e camion alla frontiera che divide il Belgio dalla Francia, le ore di attesa per superare i controlli a tappeto di militari e poliziotti, in una striscia di terra che era ormai una regione unica. E bastava sentire l’altro ieri il tono fermo e al tempo stesso accorato dei ministri dell’Interno europei durante l’incontro con i dirigenti dei colossi della «rete», la richiesta di una «collaborazione» per vigilare sulle piazze internettiane: «Perché i terroristi non attaccano gli Stati — ha detto Alfano quando ha preso la parola — ma attaccano i popoli che si incont ra n o an c h e su i so c i a l network». Perciò serve collaborare, «e se non lo farete voi spontaneamente prima o poi saremo noi a imporlo».
Nel timore che salti tutto, l’Europa adotta provvedimenti considerati impensabili ancora pochi mesi fa. Da almeno quattro anni il dossier sul Pnr giaceva nei cassetti di Bruxelles, ma la guerra ha dettato la svolta a una Comunità che — ad ogni riunione — trasmette un clima di sfiducia reciproca tra Paesi rispetto ai sistemi di sicurezza degli altri Paesi: è come se un processo di integrazione decennale d’un tratto si stesse rivelando un bluff, con l’Isis che costringe l’Unione a mostrare le proprie carte.
Per questo si è decisa la reazione, e si è evidenziata la difficoltà a trovare un compromesso tra l’esigenza di tutelare il territorio con i suoi abit an t i e la volontà di salvaguardare i loro diritti. La ricerca di un punto di equilibrio, che non è statico ma dinamico — perché influenzato dagli eventi — ha fatto infine dire al titolare del Viminale che «si vive sulle montagne russe». Però Schengen (ciò che ne resta) va difesa, sebbene anche sull’altro drammatico tema, quello dell’immigrazione, siano emerse delle difficoltà.
Al vertice di ieri si respirava una «preoccupazione diffusa» — per usare un’espressione della diplomazia — rispetto alle scelte che farà la Germania. Il consesso si è diviso tra la «linea della responsabilità» e la «linea della solidarietà», tra chi — come la Norvegia, l’Austria, la Danimarca, ma anche il Belgio — chiede maggiori controlli ai Paesi europei di frontiera, e chi — come l’Italia — ricorda che il peso del flusso migratorio va redistribuito, che ci sono impegni sui numeri dei rifugiati da trasferire e sul rimpatrio dei clandestini. Mentre tutto intorno brucia, l’Unione discute.