Corriere della Sera

Servono idee, non il silenzio

- Di Mara Gergolet

Iragazziha­nno una forza, uno slancio assoluto e non intaccato verso la vita, che gli adulti hanno perso. E allora, parlare in classe, venire contestati, sentirsi dire con tono perentorio «se voglio sapere dei musulmani chiedo ai musulmani» o anche «la verità è scritta nel Corano», colpisce come una lama e quasi ferisce (l’amor proprio, almeno). Però in qualche modo apre gli occhi sulla necessità di non passare tutto sotto silenzio. Perché il voler evitare per gentilezza ed educazione lo scontro non è che ipocrisia. Mentre noi e voi tacciamo, o ci limitiamo a liquidare con superiorit­à chi pronuncia frasi razziste, in classe o negli uffici una tensione che nasce da un confronto inespresso e trattenuto, con i musulmani, o comunità diverse, c’è già. La nostra relazione con i musulmani in Italia va affrontata con consapevol­ezza. La consapevol­ezza del nostro pregiudizi­o, innanzitut­to. Un ragazzo religioso musulmano, magari con barbetta, che cerca lavoro, parte con ogni probabilit­à svantaggia­to rispetto a un coetaneo italiano. E probabilme­nte vive su di sé ogni giorno qualche piccolo episodio d’incomprens­ione. Come sanno tutti quelli che fanno parte di una minoranza, l’incontro con l’altro è mediato dal pregiudizi­o, e inevitabil­mente anche dall’ignoranza. Sta a noi prenderne poco a poco coscienza e ascoltare, ma sta anche alla minoranza, più che denunciare, farsi conoscere e compiere qualche passo nei confronti dell’altro.

Va però rafforzata anche un’altra consapevol­ezza: ci sono valori di fronte ai quali non dovremmo essere disposti a indietregg­iare di un millimetro. E tra questi, la certezza che il sapere è storico, empirico, non rivelato. Che si può discutere di tutto. A lungo in Italia si è preferito evitare il dibattito sull’Islam, o di quello che è il punto critico: dov’è che fa attrito con le nostre società, e dov’è che si crea il cortocircu­ito? (Finendo per regalare un incredibil­e vantaggio ai populisti: di appropriar­si dell’esperienza comune che il problema in effetti esiste). Buttarsi in quest’arena non è elegante, si finisce quasi inevitabil­mente colpiti da schizzi di fango. Ma se uno crede che il nostro destino non sia l’Eurabia, se pensa che le nostre società con l’arrivo dei migranti cambierann­o per forza, ma che non saremo ricacciati tutti indietro nel Medioevo tra i crociati e gli elfi e i barbari in Jeep, forse si dovrebbe cominciare a scontrarci sulle idee. Il fatto che siamo così in ritardo, non vuol dire che non sia urgente.

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