Il disagio dentro la Consulta per il «mercato» della politica
Dal caso De Luca alle pensioni, l’attesa per le sentenze più delicate
Tra i paradossi dell’umiliante pantano in cui è bloccato il Parlamento, c’è che a disattendere al proprio dovere di eleggere tre giudici costituzionali di «derivazione politica» sono quegli stessi partiti che generalmente si lamentano per la mancanza di sensibilità politica da parte della Consulta. Tre dei cinque posti riservati alla scelta di deputati e senatori sono vuoti, e non si riesce a riempirli non certo perché mancano i nomi giusti, bensì per i veti incrociati che impediscono un’elezione più complicata di quella del presidente della Repubblica: in questo caso, infatti, il quorum non può scendere sotto i tre quinti, 571 voti. Che non arrivano perché gli accordi tra maggioranza e opposizione ( ma anche all’interno della stessa maggioranza) non reggono alla prova del voto segreto. Per questioni che poco o nulla hanno a che vedere con la caratura dei candidati.
Insomma, chi fa le leggi non è in grado di fare la propria parte nella selezione di chi quelle leggi deve giudicare. Ma il lavoro alla Corte costituzionale va avanti lo stesso. Dodici giudici (su quindici previsti) stanno garantendo il funzionamento del massimo organo di garanzia, che in tempo di crisi e di riforme ha visto aumentare il proprio peso. Nel palazzo della Consulta si studia e si vota; si lasciano intatte, si bocciano o si modificano in parte le leggi con maggioranze quasi sempre molto larghe (spesso all’unanimità): il che dovrebbe far capire che probabilmente non basterebbe qualche innesto più o meno gradito a una parte politica per modificare gli equilibri interni alla Corte. Almeno per il prossimo anno e mezzo, finché non cominceranno a «scadere» altri giudici giunti al traguardo dei nove anni in carica.
Eppure è anche alle ricadute sia politiche che economiche delle decisioni che la Corte dovrà prendere nel 2016 che si guarda per valutare i nomi da mandare alla Consulta. Perché si tratta di provvedimenti che potranno avere conseguenze sui conti dello Stato, o addirittura sul futuro del governo e della legislatura. Basti pensare al prelievo di solidarietà sulle pensioni, o a vari segmenti del decreto «sblocca Italia» già arrivati in arrivo per il vaglio di costituzionalità (soprattutto per ciò che riguarda decisioni prese dall’esecutivo nazionale senza la concertazione con le regioni); e ancora, per passare a questioni più politiche, o che riguardano questioni che vedono i partiti contrapposti fra loro: la legittimità della legge Severino contestata dal governatore della Campania De Luca (gli atti del ricorso sono arrivati proprio ieri alla cancelleria della Consulta), o nuovi aspetti legati alla bioetica, come l’utilizzo degli embrioni. Fino alla valutazione del cosiddetto Italicum, la nuova legge elettorale fortemente voluta da Matteo Renzi, che prima o poi approderà davanti ai giudici costituzionali.
Sono gli appuntamenti più attesi, ma intorno ad essi si svolge il lavoro quotidiano della corte — di uguale rilevanza per i cittadini e il rispetto dei loro diritti — che prosegue nonostante l’istituzione sia priva di un quinto dei suoi componenti. Ne consegue che la produttività è fatalmente ridotta di un quinto, sebbene i dodici in carica cerchino di tamponare al meglio la carenza di organico; mettendo nel conto anche l’età avanzata o i problemi di salute di qualcuno.
Anche per questo dentro il palazzo che fronteggia il Quirinale, dove i rumori esterni sembrano giungere sempre un po’ attutiti, si respira amarezza per essere additati come parte di una casta che gode di privilegi ingiustificati rispetto ai servizi che offre. Amarezza che si somma al disagio per la mancanza di riguardo istituzionale mostrata dalla paralisi parlamentare sull’elezione dei tre giudici mancanti. I nomi dei candidati entrano ed escono dalle «rose» con scarsa considerazione per l’apporto (giuridico, ma anche «politico» in senso lato) che potrebbero dare alla Consulta, altrimenti tutto sarebbe già fatto. Prevalgono i criteri del mercato della politica. Al quale i giudici che aspettano i loro futuri colleghi si sentono estranei, mentre continuano a leggere carte, discutere e scrivere sentenze che modificano o salvaguardano le leggi, alla luce della Costituzione.