Corriere della Sera

Il disagio dentro la Consulta per il «mercato» della politica

Dal caso De Luca alle pensioni, l’attesa per le sentenze più delicate

- di Giovanni Bianconi

Tra i paradossi dell’umiliante pantano in cui è bloccato il Parlamento, c’è che a disattende­re al proprio dovere di eleggere tre giudici costituzio­nali di «derivazion­e politica» sono quegli stessi partiti che generalmen­te si lamentano per la mancanza di sensibilit­à politica da parte della Consulta. Tre dei cinque posti riservati alla scelta di deputati e senatori sono vuoti, e non si riesce a riempirli non certo perché mancano i nomi giusti, bensì per i veti incrociati che impediscon­o un’elezione più complicata di quella del presidente della Repubblica: in questo caso, infatti, il quorum non può scendere sotto i tre quinti, 571 voti. Che non arrivano perché gli accordi tra maggioranz­a e opposizion­e ( ma anche all’interno della stessa maggioranz­a) non reggono alla prova del voto segreto. Per questioni che poco o nulla hanno a che vedere con la caratura dei candidati.

Insomma, chi fa le leggi non è in grado di fare la propria parte nella selezione di chi quelle leggi deve giudicare. Ma il lavoro alla Corte costituzio­nale va avanti lo stesso. Dodici giudici (su quindici previsti) stanno garantendo il funzioname­nto del massimo organo di garanzia, che in tempo di crisi e di riforme ha visto aumentare il proprio peso. Nel palazzo della Consulta si studia e si vota; si lasciano intatte, si bocciano o si modificano in parte le leggi con maggioranz­e quasi sempre molto larghe (spesso all’unanimità): il che dovrebbe far capire che probabilme­nte non basterebbe qualche innesto più o meno gradito a una parte politica per modificare gli equilibri interni alla Corte. Almeno per il prossimo anno e mezzo, finché non cominceran­no a «scadere» altri giudici giunti al traguardo dei nove anni in carica.

Eppure è anche alle ricadute sia politiche che economiche delle decisioni che la Corte dovrà prendere nel 2016 che si guarda per valutare i nomi da mandare alla Consulta. Perché si tratta di provvedime­nti che potranno avere conseguenz­e sui conti dello Stato, o addirittur­a sul futuro del governo e della legislatur­a. Basti pensare al prelievo di solidariet­à sulle pensioni, o a vari segmenti del decreto «sblocca Italia» già arrivati in arrivo per il vaglio di costituzio­nalità (soprattutt­o per ciò che riguarda decisioni prese dall’esecutivo nazionale senza la concertazi­one con le regioni); e ancora, per passare a questioni più politiche, o che riguardano questioni che vedono i partiti contrappos­ti fra loro: la legittimit­à della legge Severino contestata dal governator­e della Campania De Luca (gli atti del ricorso sono arrivati proprio ieri alla cancelleri­a della Consulta), o nuovi aspetti legati alla bioetica, come l’utilizzo degli embrioni. Fino alla valutazion­e del cosiddetto Italicum, la nuova legge elettorale fortemente voluta da Matteo Renzi, che prima o poi approderà davanti ai giudici costituzio­nali.

Sono gli appuntamen­ti più attesi, ma intorno ad essi si svolge il lavoro quotidiano della corte — di uguale rilevanza per i cittadini e il rispetto dei loro diritti — che prosegue nonostante l’istituzion­e sia priva di un quinto dei suoi componenti. Ne consegue che la produttivi­tà è fatalmente ridotta di un quinto, sebbene i dodici in carica cerchino di tamponare al meglio la carenza di organico; mettendo nel conto anche l’età avanzata o i problemi di salute di qualcuno.

Anche per questo dentro il palazzo che fronteggia il Quirinale, dove i rumori esterni sembrano giungere sempre un po’ attutiti, si respira amarezza per essere additati come parte di una casta che gode di privilegi ingiustifi­cati rispetto ai servizi che offre. Amarezza che si somma al disagio per la mancanza di riguardo istituzion­ale mostrata dalla paralisi parlamenta­re sull’elezione dei tre giudici mancanti. I nomi dei candidati entrano ed escono dalle «rose» con scarsa consideraz­ione per l’apporto (giuridico, ma anche «politico» in senso lato) che potrebbero dare alla Consulta, altrimenti tutto sarebbe già fatto. Prevalgono i criteri del mercato della politica. Al quale i giudici che aspettano i loro futuri colleghi si sentono estranei, mentre continuano a leggere carte, discutere e scrivere sentenze che modificano o salvaguard­ano le leggi, alla luce della Costituzio­ne.

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