Scola, l’integrazione e quel modello italiano anti-radicalizzazione
«Personalmente penso che stiamo dando vita a un processo integrativo all’italiana — così lo definisce l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola — con certi fattori peculiari che ci appartengono e che evitano il rischio di quelle rigidità alla base dei modelli francese, inglese e, per certi versi, anche tedesco, che sono stati all’origine dei fenomeni di radicalizzazione». È un’aggiunta a braccio al discorso alla città per la celebrazione dei Vespri di Sant’Ambrogio, pronunciato ieri sera e dedicato al binomio misericordia e giustizia. Aggiunta che nasce dalla lettura in mattinata dell’ultimo rapporto del Censis, secondo cui «gli stranieri in Italia inseguono una traiettoria di crescita verso la condizione di ceto medio». La questione dei migranti, in particolare dei rifugiati, è da sempre punto centrale delle riflessioni dell’arcivescovo, che nella Basilica di Sant’Ambrogio fa «con forza» un rilievo: «Non basta focalizzarsi sulle disumane, inaccettabili condizioni del viaggio (...) Queste persone sono costrette a sostenere simili fatiche per ragioni di assoluta necessità». Non si tratta allora solo di «approfondire una cultura dell’accoglienza — avverte —, ma soprattutto un giudizio circa la radice dell’odierno sistema socioeconomico che è all’origine del fenomeno migratorio». Di questi tempi, è evidente la necessità di affrontare anche «l’aggravarsi del terrorismo islamista». Il fenomeno, però, «non cambia il carattere strutturale del “meticciato di culture e civiltà” che le migrazioni presentano (...) Il terrorismo non potrà essere battuto — continua Scola — senza un processo integrativo che domanda ricerca e promozione di “senso”, impossibile senza un risveglio dell’Europa». Il cardinale chiama in causa «l’autorità costituita», che dovrà salvaguardare «la capacità della società di sviluppare la propria identità e la propria storia, in altri termini la sua capacità di “tradizione innovativa”». Ancora un’espressione chiave nel discorso di Scola, che a margine chiarisce: «Perché la tradizione si mantenga deve rinnovarsi continuamente, trattenere tutto il passato senza fossilizzarlo, ma contaminarlo nel senso nobile della parola».