Corriere della Sera

ANTIDOPING UNA BATTAGLIA DA CONDURRE CON SERIETÀ (E BUON SENSO)

- di Daniele Dallera

Ventisei atleti, chi col talento del campione affermato, chi invece mai emerso e mai ormai emergerà, sono stati messi sotto accusa dalla Procura antidoping (organismo autonomo dal Coni, ma i suoi componenti sono nominati dalla Giunta Coni) per aver fatto i loro comodi e saltato i controlli. Una richiesta di pena, due anni di squalifica, da far venire i brividi per gente che ha vita profession­ale breve, a 30 anni si ragiona e si fanno i conti già per la «pensione». Atletica italiana azzerata nell’anno dell’Olimpiade di Rio. Ci si resta male, atleti che sono una bellezza, un incanto nella loro espression­e tecnica ed estetica, finiscono sotto accusa non per doping, ma per aver bigiato-marinato fin troppe volte il controllo della verità. Non si fa. Ovvio che la Procura si mostri severa, perché il sospetto che abbiano fatto più i furbi che i pigri è forte. Meno ovvio che il presidente del Coni, Giovanni Malagò, il giovedì si affretti a dire, forse spinto da malinconic­o sentimento di tenerezza verso quei ragazzi: «Nessuno ha barato». Il giorno dopo, magari in seguito a una telefonata con Tammaro Maiello, il capo della Procura antidoping, ha corretto il tiro: «Ribadisco l’assoluta fiducia nell’autorevole operato dell’Ufficio di Procura antidoping che ha condotto l’indagine con serietà e rigore...». Crediamo che il Malagò atto secondo sia quello più credibile, perché se è vero che la Procura antidoping ne ha messi sotto inchiesta 26 è altrettant­o vero che ne ha archiviati altri 39, loro sì per «mancata reperibili­tà». L’antidoping è affare serio, quando è condotto con profession­alità. Bisogna però mettersi in testa che nello sport, svolto a livelli così esasperati, l’assistenza medica e farmacolog­ica è necessaria. Con riso in bianco e bresaola non si reggono simili ritmi e soprattutt­o non si vince alcuna medaglia.

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