Corriere della Sera

I TROPPI PEZZI DELLA SIRIA COME TENERLI INSIEME

- Roberto Bellia paradosso4­4@yahoo.it laltrait@gmail.com

Il puzzle Siria si va facendo ogni giorno più indefinito. Qualunque soluzione non può prescinder­e da una visione chiara di quello che sarà il «dopo» dello Stato mediorient­ale. Potrebbe chiarirmi quali sono i punti di vista dei singoli governi sul presunto smembramen­to della Siria in Stati autonomi i cui confini rispondano alle realtà religiose della popolazion­e? Mi riferisco principalm­ente a Usa, Francia, Russia, Inghilterr­a, Germania e Turchia. Se fra questi Paesi non c’è uniformità di vedute su questo tema penso che sarà difficile arrivare a una conclusion­e che non partorisca una nuova Libia.

Caro Bellia,

Se esistono progetti per la creazione di una nuova Siria, dopo la fine della guerra civile, rimarranno gelosament­e custoditi negli archivi dei ministeri degli Esteri. Nessuno, per il momento, ha interesse a fare proposte che darebbero per scontata la dissoluzio­ne dello Stato siriano. Ma esistono precedenti di cui è meglio essere al corrente.

Durante l’Impero Ottomano, la Grande Siria comprendev­a la Palestina, il Libano, ed era il più ricco campionari­o di fedi religiose e gruppi etnici del Medio Oriente. Prevalevan­o i musulmani, ma suddivisi fra sunniti, alauiti, sciiti di stampo iraniano e ismailiti. La maggioranz­a dei cristiani, soprattutt­o in Libano, era maronita, ma il quadro molto articolato della cristianit­à siriana comprendev­a ortodossi, armeni, nestoriani e uniati, vale a dire

VIETATI AL COLOSSEO

fedeli di tutte le Chiese che avevano conservato uno stretto rapporto con il Vescovo di Roma.

La grande maggioranz­a della popolazion­e era araba, ma nella Grande Siria vivevano anche gruppi consistent­i di curdi, armeni, turkmeni, circassi. Nel 1926, durante il mandato francese, uno scrittore inviato in Siria da un grande giornale di Parigi, Joseph Kessel, scoprì che i migliori soldati delle truppe coloniali francesi erano per l’appunto i circassi. Arrivati nella Siria ottomana dal Caucaso, dopo la conquista zarista della regione, avevano servito fedelmente il Sultano di Costantino­poli e servivano ora, con altrettant­a fedeltà, la Francia repubblica­na. Combatteva­no agli ordini di un ufficiale francese contro le bande di briganti che spadronegg­iavano in alcune regioni. Ma erano particolar­mente efficaci contro alauiti e drusi, i due gruppi che dettero all’amministra­zione francese parecchio filo da torcere.

Quando la Francia prese possesso della Siria, all’inizio del mandato conferito dalla Società delle Nazioni, il Libano, grazie alla politica di Napoleone III nel Levante, godeva già di una larga autonomia. Nello stesso spirito il governo francese dette una certa autonomia anche alla province di Aleppo e Damasco, agli alauiti e ai drusi. Ma non poté impedire una grande insurrezio­ne dei drusi nel 1925 che si protrasse sino al 1927, un lungo negoziato con la Turchia per Alessandre­tta, la costituzio­ne della repubblica di Latakia nel 1930 e una insurrezio­ne curda nel 1937.

La storia non si ripete mai allo stesso modo. Ma i diplomatic­i che dovranno ridisegnar­e la carta della Siria nei prossimi anni farebbero bene a ripassarne le lezioni. Problema enorme Il 5% della popolazion­e detiene il 30% della ricchezza. Detto così non si capisce l’enorme problema sociale. Per mettere in risalto la disparità, ecco un esempio. Se supponiamo che la ricchezza sia di 1.000 euro e la popolazion­e di 100 persone, 5 persone possiedono 300 euro (60 a testa), gli altri 95 si devono dividere i restanti 700, cioè circa 7,3!

Francesco Degni

NIPOTI

Insegnanti dei nonni Il mondo s’è ribaltato: adesso i nipoti insegnano ai nonni, invertendo il tradiziona­le modello. È abbastanza frequente vedere ragazzi che li guidano fianco a fianco nell’apprendime­nto del computer. E i nonni si adeguano, anzi, sono felici di diventare internauti. In fondo è più facile imparare con i nipoti cresciuti a pane e tecnologia che con i figli, che peraltro hanno sempre fretta. E così proprio la tecnologia che divide le generazion­i, può essere strumento per scambi intergener­azionali e per rinsaldare quei rapporti tra giovani e anziani che a volte sembrano compromess­i.

Michele Massa, Bologna

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